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C'è ancora un futuro per l'armata Brancaleone in gialloverde?

Di fatto Di Maio e Salvini tireranno a campare sino alle elezioni europee. Con le opposizioni a crogiolarsi sulle loro macerie


18/03/2019

di Mauro Castelli

Le disavventure di questo Governo sono sotto gli occhi di tutti. Cosa peraltro comprensibile, anche se difficile da accettare, in quanto riuscire a far quadrare le decisioni senza scontentare una delle due parti in causa rappresenta un’impresa titanica. Nel senso che, per quanto si cerchi di dare voce all’arte del compromesso e della mediazione, le posizioni di grillini e leghisti sono distanti anni luce. Ed è già un miracolo che riescano a sopportarsi, viste le divergenti posizioni, sino alle prossime elezioni europee. Sia pure su posizioni contrapposte. 
In primis Luigi Di Maio, portavoce del Movimento, brutalmente messo in castigo dai sondaggi. Lui contraddistinto da quell’insopportabile sorrisino da primo della classe quando, purtroppo, non lo è nemmeno lontanamente; lui sempre pronto a giustificare i suoi ripetuti no a questo o a quello, facendo leva sulla trita e ritrita filastrocca: lo prevede il contratto.  Già, lo prevede il contratto, senza rendersi conto che - in politica - promettere è una cosa, mantenere è un’altra. Soprattutto se di mezzo c’è l’economia di un Paese che, purtroppo, in questi ultimi tempi si è messa ad arrancare in maniera preoccupante. Con la minaccia latente (le ripetute smentite non fanno altro che confermare l’ipotesi) di una nuova patrimoniale o di una manovra correttiva da brividi. 
E l’altra metà del cielo gialloverde? Ovviamente è rappresentata da Matteo Salvini, il leghista tutto d’un pezzo che sa parlare alla pancia della gente, complice una preparazione che nulla ha a che vedere con quella dell’amico-nemico Giggino. In quanto, mentre Di Maio vendeva bibite allo stadio di Napoli (niente da dire, ci mancherebbe, dal momento che guadagnarsi la pagnotta è certamente un merito), il portavoce del Carroccio inanellava anni di militanza politica. Che, se vogliamo essere onesti, ultimamente sono stati messi a frutto, gratificandolo ampiamente. Anche se di colpe (e di strette di mano) se ne porta dietro lui stesso in abbondanza. 
Un esempio? Il non sapersi mettere di traverso quando ritiene di essere dalla parte della ragione (il caso della linea ferroviaria Torino-Lione è emblematico, una tratta ad alta velocità peraltro sponsorizzata da due terzi degli italiani). Insomma, pur avendo la gente dalla sua, evita di prendere decisioni che potrebbero far saltare la “santa alleanza”. Un passo impensabile - ma non è una novità - prima delle elezioni europee, che rappresenteranno per lui, e non solo per lui, un primo vero banco di prova. 
Oltre tutto, se si dovesse arrivare allo scontro finale fra grillini e leghisti, si spalancherebbero le porte delle urne, in quanto altre alleanze per mettere in piedi un nuovo Esecutivo non ne esistono, visto che le forze d’opposizione, nessuna esclusa, navigano a loro volta in brutte acque. A fronte di comportamenti carnevaleschi. In altre parole inscenando, anziché fare proposte serie, pagliacciate sui banchi di Camera e Senato. Quelle stesse che erano state una contestata prerogativa di grillini e leghisti. Insomma, tutto il mondo è paese. 
E allora ne vogliamo parlare? In primis il Pd, che per aver incassato il voto a pagamento di quasi un milione e 700mila simpatizzanti per l’elezione del segretario, ha subito inneggiato al trionfo. Ma allora come mai, la volta precedente, quando il numero dei votanti in piazza era risultato superiore, sebbene di poco, si era parlato di una preoccupante flessione? 
Certo, l’elezione di Nicola Zingaretti, il fratello minore del commissario Montalbano, ha tranquillizzato e non poco gli animi. Ma la sfilza di correnti che travaglia il partito - benché Matteo Renzi abbia predicato serenità, la qualcosa non induce a ben pensare - si propone alla stregua di una specie di armata Brancaleone. 
Con la differenza che Brancaleone sapeva, nella sua straordinaria follia, guadagnarsi la stima della sua sgangherata truppa, mentre il buon Zingaretti, che ha già incominciato a sbraitare come un ossesso, peraltro litigando con l’italiano alla stregua di molti altri parlamentari (“Mi hanno imparato”), non avrà vita facile nel riformare e addestrare il suo rabberciato esercito. Anche se potrebbe beneficiare - e lo si è già notato nel corso delle ultime regionali - di un ritorno a casa di una parte dei disertori finiti nelle maglie ammiccanti dei Cinque Stelle. Fermi restando i soliti voltagabbana che non alloggiano soltanto nei villaggi del centrodestra. 
E Forza Italia? Una specie in via di estinzione con un leader, Silvio Berlusconi, che ha fatto il suo tempo. Tanto più che, appena prova a rialzare la cresta, le toghe rosse lo aspettano al varco (ma anche quelle della controparte non sono da meno, come si è visto dalle ultime manovre giudiziarie che hanno coinvolto le famiglie di Renzi e di Di Maio). 
Per il resto minutaglie di poco conto. Con Fratelli d’Italia a tirare a campare sulle solite litanie di Giorgia Meloni che, dopo essere costata la poltrona di sindaco di Roma ai suoi potenziali alleati, da nove mesi a questa parte ripete sempre le stesse cose. Per non parlare di altri due rottamati di lusso, Pietro Grasso e Laura Boldrini (ci scusi, la signora, se utilizziamo ancora la prevalenza del maschile sul femminile), ridotti al ruolo di comparse. Sic transit gloria mundi, come dicevano i romani.

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