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Il burkini della discordia

Tridimensionalità: la chiave per decrittare il caos sociale moderno


29/08/2016

di Andrea di Furia

È interessante osservare, nel sociale, come a volte un fenomeno lo si colga, per così dire, “nel mezzo del cammin” e sùbito ci si senta spinti a trinciare giudizi definitivi che poi vengono smentiti dai fatti.

Un caso esemplare di questa brutta abitudine, ma ne siamo quotidianamente sommersi, è la querelle suscitata da quel capo di abbigliamento da spiaggia assurto alle cronache con il nome di burkini.

Tanto che in Francia il divieto di indossare il burkini nelle spiagge viene giustificato adducendo vari pretesti, tra cui quello del femminismo, trasformando così il nostrano bikini in un vessillo di libertà della donna.

Probabilmente l’assonanza con il Burca – essendo per un occidentale, diversamente che per chi vive nel mondo di fede mussulmana, una pratica oscurantista di asservimento quella di occultare da capo a piedi una donna - ha contaminato anche il burkini… indumento che viceversa è nato proprio con l’intento opposto.

L’idea del burkini infatti non è scaturita dalla fervida mente punitiva di un Imam maschio, bensì da una Stilista femmina: che voleva dare la libertà di poter frequentare e fare un bagno in spiaggia a donne che altrimenti ne erano “culturalmente” impedite.

A ben guardare il tema dell’abbigliamento più corretto da indossare in spiaggia sottintende il tema scottante dell’immagine della donna nella nostra società moderna, che molti utilizzano “pro domo sua”… come intuisce in proposito la scrittrice francese Annie Ernaux, su La Repubblica del 26 agosto, nel suo articolo L’Europa e la libertà delle donne.

Annie Ernaux: «Direi che in gioco c’è il posto delle donne all’interno di un’Europa che si sta via via trasformando in una fortezza. A nessuno sfugge il ripiegamento dei Paesi europei sulle proprie identità nazionali… Ora, nella Storia il nazionalismo è sempre stato accompagnato da valori virili, in primo luogo quello dell’autorità. Il richiamarsi ad un ordine “naturale” e il ritorno alla tradizione, qualunque essa sia, sono sempre andati a svantaggio delle donne, in un modo o nell’altro».

Osservazione culturale che trova una risposta non culturale, ma giuridico-politica, dalla sentenza del Consiglio di Stato francese - avverso l’ordinanza anti-burkini del Sindaco, di destra, del centro balneare di Villeneuve-Loubet – che: “ha danneggiato in modo grave e manifestamente illegale quelle libertà fondamentali che sono la libertà di andare e venire, la libertà di coscienza e la libertà personale” e “nessun elemento permette di affermare che dei turbamenti all’ordine pubblico derivassero dalla tenuta adottata da certe persone”.

Altro francese, lo studioso di sinistra dei movimenti sociali Jean-Pierre le Goff, intervistato dal Corriere della Sera del 27 Agosto approfondisce la questione dal punto di vista del “sentiment” dei conterranei: molto vicino all’ordinanza, emotiva anch’essa, dei Sindaci francesi di destra.

Jean-Pierre Le Goff: «Oggi una parte considerevole della popolazione prova un’insofferenza crescente verso atteggiamenti che vengono percepiti come provocazioni. (…) Inutile tirare in ballo il razzismo, la discriminazione, o addirittura una volontà di sopraffare la volontà delle donne di vestirsi o coprirsi come vogliono. Sono assurdità. Il punto è che certi abbigliamenti sono poco sopportabili da una popolazione che ha avuto centinaia di morti negli attentati. (…) La domanda è: in quale civiltà vogliamo vivere? E quale ruolo della donna vogliamo difendere? Siamo a un bivio: o restiamo repubblicani [assimilazionisti], o diventiamo multiculturali come gli anglosassoni».

 


Da parte occidentale, in realtà, alla base c’è il sentimento di chi ritiene in modo totalizzante che l’attuale immagine della donna proposta sia il non plus ultra culturale, il massimo raggiungibile e a cui tutto il Pianeta si deve adeguare... così come si è adeguato alla globalizzazione economica.

Un dictat unilaterale che ben illustra la sottostante struttura monodimensionale del sociale moderno: contraria alla libertà personale, di cui farnetica a ogni piè sospinto; contraria all’autodeterminazione delle Comunità, del cui slogan si avvale per imporsi su di loro; contraria alle specificità dei Territori, che depreda attraverso l’idolatria del numero finanziario e l'illusorio mito contabile della felicità in Terra tramite la crescita economica.

Se poi osservassimo il sociale moderno con la lente d’ingrandimento del pensiero tridimensionale, vedremmo che, nei riguardi della donna, non difetta solo il pensiero religioso (non solo degli altri ma anche il nostro) e persino quello laico che si crede al top.

Riguardo al primo, il teologo Vito Mancuso e sempre su La Repubblica del 26 agosto - nel suo L’Islam, il Cristianesimo e la polemica sul burkini tutto da leggere - ci ricorda che anche il Cristianesimo delle origini non ha nulla da invidiare all’Islamismo odierno nei riguardi dell’immagine che si fa della donna.

Lo fa attraverso le parole dell’Apostolo delle Genti, San Paolo, nella prima lettera ai Corinti 11, 3-10. Apostolo che, per altri aspetti, si rivela peraltro essere tra i più evoluti discepoli contemporanei del Cristo.

Vito Mancuso: «Qui San Paolo dice tre cose precise: 1) che la donna è sottomessa all’uomo, così come l’uomo è sottoposto a Cristo, e Cristo è sottoposto a Dio, secondo una netta gerarchia ascendente; 2) che la donna non solo è sottoposta, ma finalizzata all’uomo, nel senso che è stata creata per l’uomo, di cui è chiamata ad essere la “gloria”; 3) che la donna deve coprire la sua testa in segno di accettazione dell’autorità cui è sottoposta. L’Islam ripresenta la medesima impostazione. (…) “Profeta di’ alle tue mogli e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano con i loro mantelli; questo sarà meglio per distinguerle dalle altre donne affinché non vengano offese, ma Dio è indulgente e compassionevole” (Corano: sura 33,59)».

Oggi, nel mondo cristiano a inizio terzo millennio, le posizioni sull’abbigliamento femminile sono esattamente agli antipodi, ma circa l'evoluzione dell’immagine della donna come “sottoposta” nel sociale degli ultimi due millenni può dirci qualcosa in più l’osservazione del fenomeno dal punto di vista della tridimensionalità sociale: in particolare della legge sociale di Gravità.

Abbiamo visto il pensiero religioso, quale testimone della dimensione culturale. Ma sappiamo dalla Storia che la dimensione politica ha poi preso il sopravvento su quella culturale (dall’inizio del Rinascimento alla Rivoluzione francese in particolare) e che alla Chiesa egemone si è sostituito lo Stato egemone come “contenitore strutturale unico” di tutto il sociale (politico, culturale, economico).

Se infatti andiamo a vedere la condizione della donna all’epoca vittoriana, ma persino fino a metà del secolo scorso, troviamo che oltre al fatto di frequentare scuole secondarie e di non poter votare, l’inferiorità mentale delle donne era un dato “scientifico” acquisito.

Oggi viceversa il dato scientifico nelle nostre Università si è nei fatti ribaltato, e nonostante questo ancora abbiamo bisogno di imporre politicamente “quote rosa” a tutela della donna in vari settori della pubblica amministrazione.

 


Abbiamo colto in questo passaggio che lo slittamento laterale sociale dalla dimensione culturale a quella politica - dell’immagine della donna prodotto dall’attivarsi dell’inosservata legge di Gravità sociale - in sostanza non ha ancor oggi mutato di molto, dal punto di vista dei principi, la sua situazione di “sottoposta”: la donna ha ancora un peso socialmente minore.

E nella dimensione economica? Lo slittamento dell’immagine della donna nella dimensione economica – oggi che allo Stato ottocentesco si è sostituito il Mercato del debito finanziario, come contenitore sociale unico di cultura, politica ed economia – ci parla ancora di “sottoposizione”: permane ancora a "una dimensione".

Qui, oltre al fatto che nel mondo aziendale e commerciale pochissime sono le donne in posizione di potere, rispetto ai maschi il dato è desumibile dallo stipendio: la differenza è intorno al 30% in meno per la stessa posizione e qualifica.

In questo cammino tridimensionale evolutivo è interessante vedere come in ambito culturale servano millenni per modificare in meglio l’immagine della donna (da San Paolo a noi); secoli occorrono nella dimensione politica (per il voto alle donne); decenni in quella economica (circa mansioni e remunerazione).

Già solo questa differente modalità di affrontare il tempo ci indica come ogni dimensione sociale abbia bisogno di un suo contenitore-orologio specifico. Come infatti non ha senso e non può esistere - per indicare secondi minuti e ore - un orologio con una lancetta sola, così non ha senso e non può esistere - per indicare Mercato-secondi / Stato-minuti / Scuola-ore - un sistema sociale che ha un solo contenitore strutturale.

Che siano Scuola [nel Medio-Evo Chiesa, oggi Scuola], Stato o Mercato a susseguirsi come contenitore unico per il sistema sociale attuale, ossia come lancetta temporale unica per l’orologio sociale moderno, il risultato non cambia: così come non cambia mutando l’ordine dei fattori in una moltiplicazione.

La struttura del sistema sociale a 1 dimensione prevalente porta sempre come risultato al caos violento e disumano: alla feroce discordia su ogni cosa, così come in questo caso dell'antitesi bikini-burkini.

E questo caos, come ben sanno le istituzioni finanziarie mondiali, arriva più velocemente se il contenitore è il Mercato-secondi (come è ora) e ben più lentamente se è la Scuola-ore (nel Medio-Evo la Chiesa da noi Europei/oggi nel mondo islamico gli Imam).

Se vogliamo fermare questa confusa e conflittuale deriva dobbiamo strutturare il nostro attuale sistema sociale in modo che ogni dimensione sociale abbia il suo contenitore-lancetta esclusivo: Mercato-secondi per l’economia territoriale planetaria; Stato-minuti per la politica nelle Comunità giuridicamente costituite; Scuola-ore per la cultura della Persona libera.

Serve, in definitiva, costituire un sistema sociale strutturato a 3Dimensioni autonome e sinergiche: l’unico che può salvaguardare in concreto - e non come ideale aspirazione astratta - la libera vita spirituale delle Persone e al contempo salvaguardare la vita democratica nelle Comunità e la vita economica fraterna sui Territori del Pianeta.

Serve la Società trimensionale dei nuovi tempi, dei nostri tempi: nel sociale ne guadagnerà anche e soprattutto l’immagine "tridimensionale" della donna.

 

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