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Il nostro sistema sociale? Purtroppo è diventato in toto antisociale


21/03/2021

di Andrea Di Furia

Quando sento ai TG gli “stacchetti” dei vari Politici - tutti tesi a dimostrare in sintesi le “buone pratiche” del loro Pratito, e le loro azioni orientative degli obiettivi del Governo di cui fanno parte - realizzo subito perché il nostro sistema attuale è diventato in toto “antisociale”: persino quando racconta tutte le belle cose che quello o quell’altro Partito fa per gli Italiani, le Aziende, le Partite IVA, i Lavoratori, i più Deboli etc.
Ma il pensiero di quei politici che “sculettano verbalmente” davanti alle telecamere è fuori dalla realtà, la guarda come dall'esterno: si è totalmente astratto da essa. E gli zelanti ballerini ideologici (ognuno ha in simpatia la sua tesi e in antipatia quella degli altri Partiti) non si accorgono che tutto quello che dicono finirà in nulla, perché la realtà dello Stato italiano - mi si perdoni questa tristissima, impietosa, ma veritiera e spregiudicata immagine-sintesi oggettiva, concreta e non astratta - è quella di essere ormai una discarica a cielo aperto di “rifiuti sociali” economici, politici e culturali: che si sbranano e degradano tra loro, senza mai trovare una sinergia “sociale” vera.
E’ importante, per conoscere la realtà antisociale in cui viviamo che continuiamo solo per abitudine a etichettare come sistema “sociale”, comprendere bene come il termine “rifiuto sociale” sia ciò che oggi inevitabilmente finisce per essere ogni nostra iniziativa economica, politica e culturale.
Facciamo un esempio concreto, per capire come finirà nella discarica statale italiana come ulteriore tossico “rifiuto sociale”, anche il “recovery found” cui messianicamente l’astratta politica degli stacchetti televisivi affida il nostro luminoso futuro e l’immancabile ripresa. Ripresa, sì: per i fondelli!
Pensiamo al decreto Milleproroghe, il primo atto del Governo Draghi, che in realtà è un atto dovuto lasciato indietro dallo sculettante Governo precedente e ai suoi precedenti decreti “Ristori”. In questo caso, il senso dello stacchetto televisivo recitava all’incirca: “Guarda come siamo bravi con i ristori, che ti aiutano a superare l’effetto economico perverso delle misure sanitarie imposte dal nostro Governo”.
Frase semplice, immediata, consolante, foriera di attese salvifiche: queste avverabili, però, solo se la realtà sociale fosse soltanto quella “astratta” etichettatasi nella testa di chi parla, e non vivesse invece (com’è in realtà) in un sistema impestato da "rifiuti sociali", come quello italiano, che richiede traduzioni continue e rimandi infiniti a “rifiuti sociali” preesistenti e mai smaltiti: qual è, ad esempio, la nostra scioccante Burocrazia.


Sulla traduzione dal dire al fare ci dice qualcosa Michele Ainis su Il Venerdì del 19 marzo 2021. Nel suo Silenzio, parla Draghi cogliamo come la Burocrazia con il suo “chiarissimo” linguaggio rende altrettanto chiara la degenerazione dell’annuncio in… sterile farsa, come poi è stata.
Salta agli occhi la coincidenza con il Giorno del Papà: ma sembra che la Burocrazia governativa, più che partecipare alla sua Festa, voglia fare la “festa” ai Papà italiani con i suoi DCPM:
Michele Ainis: «Per esempio con i dcpm (il numero 11 della serie, entrato in vigore il 4 maggio scorso, copre 70 pagine, ciascuna di 4000 caratteri e 600 parole). O con i decreti Ristori dove s’incontra, fra le tante, questa perla: “Il contributo a fondo perduto di cui al comma1 non spetta, in ogni caso, ai soggetti la cui attività risulti essere cessata alla data di presentazione dell’istanza di cui al comma 8, agli enti pubblici di cui all’articolo 74, ai soggetti di cui all’articolo 162-bis del testo unico delle imposte sui redditi e ai contribuenti che hanno diritto alla percezione delle indennità previste dagli articoli 27 e 38 del decreto legge 17 marzo 2020n. 18, convertito, con modificazione, dalla legge 24 aprile 2020 n. 27, nonché ai lavoratori dipendenti e ai professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994 n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103”. Questo delirio di citazioni e di rinvii figura in una norma (articolo 25 del decreto legge 19 marzo 2020, n.34) che disponeva aiuti per professionisti e imprese in sofferenza per l’epidemia; ma la sua lettura è in sé una sofferenza».
Ora, con circa 50.000 leggi (una stima al ribasso!) e 13.000 istituzioni pubbliche in Italia, come si può pensare che anche una minima iniziativa doverosa e benefica possa dare i suoi frutti?
Non si vedono, moltiplicati per 50.000x13.000, i “rifiuti sociali burocratici” nel cui mastodontico ammasso è costretta a franare ogni e qualsiasi aspettativa delle Comunità in Italia: non dico lo ius soli, ma anche quella dei prossimi mes e recovery found?
Non diventa comprensibile l’inevitabile effetto collaterale antisociale, grazie all’immagine sintesi dello Stato-discarica a cielo aperto di “rifiuti economici, politici e culturali mai smaltiti? Non è prevedibilissima la conseguenza dell’eccesso burocratico di leggi, leggine, decreti e dcpm? Rammentiamo che nel 2020 c’erano ancora da sanare le ultime 9.000 posizioni dei circa 400.000 “martiri italiani esodati” dal serendipico SuperMario Monti e dalla commossa Fornero?
Ci meravigliamo ancora se i terremotati di Amatrice e dintorni esponevano a distanza di 4 anni striscioni in cui – con un francesismo precisissimo - a causa dei vergognosi ritardi e i disumani ostacoli burocratici alla ricostruzione delle loro case, pregavano di non essere più “presi per il culo?”
Ora, con l’immagine della discarica a cielo aperto – che in Italia è lo Stato, ma negli Stati Uniti di America è il Mercato (pensiamo da cosa origini l’armonico dialogo USA-Cina in Canada, o l’ultimo rappacificante commento di Biden su Putin)– si vuole solo contribuire al risveglio delle coscienze dal sonno delle etichette vuote di pensiero con cui si mistifica la cruda realtà: finché in Italia non si comprende la necessità urgente della raccolta differenziata dei “rifiuti sociali tridimensionali” è impossibile fare qualsiasi cosa concretamente di “sociale”.
Ci si può solo illudere sperando nell’uomo del destino o, sconsolatamente, assistere al continuo degrado economico, politico e sociale causato da persone (anche volonterosissime, soccorrevolissime) che contrariamente a quello che credono non pensano con la propria testa, solo riflettono (come lo specchietto dell’auto riflette chi sta per sorpassarti) ipotetici algoritmi di terzi altrettanto... non pensanti.
E per verificare che non si pensi con la forza sufficiente il sociale, basta uscire 5 minuti dalle proprie incrollabili opinioni e osservare gli anoressici o inconsistenti risultati di ciò che gli esultanti stacchetti dei politici al TG danno per un successo assicurato.


Per chi non ha lo stomaco forte, e non se la sente di verificare la storia degli ultimi 70 delle Repubblica italiana, segnalo un risultato molto vicino a noi, traendolo dal Corriere della Sera di sabato 20 marzo:
Goffredo Buccini: «Il provvedimento era stato fortemente voluto tra le primavera e l’estate 2020 dall’allora titolare dell’Agricoltura, la renziana Teresa Bellanova. Alcuni hanno esultato come di fronte a una significativa vittoria della propria parte. Altri si sono spinti a dileggiare le lacrime di commozione sfuggite alla ministra, con un passato da bracciante, nel dare l’annuncio del “suo” provvedimento lo scorso maggio. “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili”».

Naturalmente dispiace che non sia andato a buon fine (pensato per i braccianti nei campi, non si è riversato né sui lavoratori edili, né su Colf e badanti: i dati sono impietosi), ma dispiace ancor più che non si comprenda l’origine dell’insuccesso: un pensiero astratto incapace di pensare “da dentro” il processo economico in cui vuole intervenire!
Poi, certo, il solito litigioso compromesso politico e la sua sterile traduzione burocratica (rifiuti sociali mai smaltiti nei 160 anni dall’Unità d’Italia!) hanno intossicato il provvedimento, lo hanno reso inefficiente e annullato già alla nascita.
Perciò dobbiamo prendere coscienza, con coraggio e buona volontà, che il processo economico vivente (così come la struttura del sistema sociale attuale) non patisce astrazioni concettuali da stacchetti politici: richiede un pensiero sociale più “forte” di quello scientifico concettuale astratto che oggi gli applichiamo.

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