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Il vuoto del ceto politico

Una sindrome ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder)


12/11/2017

di Andrea di Furia

Prendiamo le mosse da “Il vuoto politico e la rassegnazione. Un sistema in crisi” di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera di sabato 11 novembre, dove la crisi di un partito (il PD) si annuncia come crisi del regime e l’unica risposta sembra essere una “rassegnata disperazione o una disperazione rassegnata”.

Il parallelo è con il crollo del regime fascista, partito unico pur sempre legato al Risorgimento, mentre nel crollo del regime partitocratico a guida PD, Galli della Loggia intravede l’ultimo legame con la neonata Repubblica Italiana e: “al pari di tanti anni fa l’Italia ha davanti a sé il vuoto”, la rassegnazione, la retorica.

Galli della Loggia: «La rassegnazione al vuoto politico, alla mancanza di qualunque idea generale cui si cerca di supplire con le “parole forti”, con la frase a effetto, talora più semplicemente con l’ingiuria: la rassegnazione a un dibattito politico ridotto a scambio di battute nei 140 caratteri di un twitter, a una personalizzazione esasperata dove quella che di solito manca è proprio la personalità. Ormai è questa patologia che in Italia ha acquistato l’apparenza della normalità. (…) accreditata dalla complice “comprensione” dei media e insieme trasfigurata dalla retorica dura a morire del discorso pubblico italiano, la retorica delle buone intenzioni “democratiche” nonché degli omaggi ai più alti principi e ai più bassi luoghi comuni».

Come sempre, essendo un acuto osservatore, a Ernesto non la si fa. E su questa analisi ci si può mettere la mano sul fuoco. Poi però anche lui spegne il riflettore, e cade in quegli “omaggi ai più alti principi e ai più bassi luoghi comuni” appena denunciati.

Dopo aver fatto notare che un’economia in ripresa non è sufficiente a riportare l’ottimismo in Italia (basso luogo comune), ecco sparare l’omaggio al più alto principio (la Politica democratica) per poi chiudere con un altro più basso luogo comune.

 


Galli della Loggia: «Per la tenuta civile di un Paese serve la politica. Perché è solo nella politica, negli uomini e nelle donne che le prestano il proprio volto, che una società democratica trova la sua prima e più ovvia auto-rappresentazione. In tutto ciò che la politica è chiamata a fare, a decidere, a dirigere: che ai nostri giorni equivale direttamente o indirettamente a quasi tutto. Alla fine, insomma, la realtà e l’immagine dell’Italia sono l’immagine della sua politica, c’è poco da fare».

Proprio qui si vede l’incapacità, persino nei migliori sociologi e commentatori, di uscire fuori dalle paludi in cui li ha fatti scivolare l’inadeguato pensiero scientifico applicato al sociale. Sfugge loro la realtà anche quando ne parlano esplicitamente: “In tutto ciò che la politica è chiamata a fare, a decidere, a dirigere: che ai nostri giorni equivale direttamente o indirettamente a quasi tutto”.

Ecco, se proprio devo fare un commento, questa frase andrebbe meditata ogni giorno la mattina, prima di alzarsi, dai 60 milioni di Italiani e dai miliardi di abitanti della Terra che vivono in un Paese civile.

Sicuramente curerebbe l’apatia e la rassegnazione di quanti tra noi, consapevoli o no, utilizzano il pensiero scientifico per risanare l’Italia, l’Europa e il Mondo. Un pensiero che essendo inefficace, astratto, scollegato dalla realtà sociale di inizio terzo millennio non è neppure capace di incidere sulla stessa realtà che acutamente critica.

Tornando alla frase chiave di Galli della Loggia va capito che la patologia della politica italiana – e anche europea e mondiale – consiste proprio nel fatto che la politica democratica fa, decide, dirige direttamente o indirettamente non solo “quasi”... bensì tutto.

Anche quello che non ha nulla a che fare con la sua natura democratica. Persino quello che va contro la sua natura da due direzioni diverse: la Cultura e l’Economia.

Oggi fare, decidere, dirigere la politica nella struttura attuale del sistema sociale è agire contro la natura stessa della politica democratica. Difatti emerge sempre più forte l’antipolitica: della partitocrazia, dei segretari ducetti del Partito, della protesta delle persone, della manipolazione dei lobbisti, della predazione degli speculatori, dei professori universitari e dei tecnici.

Da circa 5 secoli è emerso sempre più forte l’appello alla Democrazia, al governo del Popolo come l’ideale fondamentale nella vita sociale dell’Umanità moderna. Detto così però resta al livello di luogo comune, di slogan.

Cosa vuol significare in pratica la Democrazia? Vuol significare a possibilità per ogni uomo che ha raggiunto la maggiore età di decidere, sia mediante organi rappresentativi sia mediante referendum ecc. Di decidere lui stesso in merito a ogni questione che riguarda la vita di tutti gli uomini maggiorenni inseriti in una Comunità statale.

A questo tendeva lo Stato democratico: a un ambito del sociale in cui tutti sono eguali, in cui la vita non richiede né assoggettamento gerarchico, né competenze specifiche: l’ambito dei diritti e dei doveri, della vita giuridica e della giustizia.

 


Ma lo Stato, così come è sorto dalla Rivoluzione francese, ha mantenuto il timone su questa esclusiva via della politica democratica, che lo giustificava? No! Lo Stato ha voluto occuparsi anche di altro: di quanto non gli compete, di quanto è persino contrario alla sua essenza ed è presente, come 225 anni dopo rileva Galli della Loggia: “In tutto ciò che la politica è chiamata a fare, a decidere a dirigere: che ai nostri giorni equivale direttamente o indirettamente a quasi tutto”.

Non può infatti dirsi uguale per tutti gli uomini né la Scuola, la cui efficacia dipende da qualità personali che sono diversissime negli uomini maggiorenni, né il Mercato, la cui efficacia dipende dalle competenze acquisite con l’esperienza che sono diversissime negli uomini maggiorenni.

Eppure di entrambe (Cultura ed Economia) lo Stato (Politica) ha scippato la funzione causando con ciò la propria corruzione: causando il proprio suicidio politico e trasformando la politica democratica nel vuoto opprimente dei nostri giorni. Galli della Loggia denuncia una vera e propria patologia.

Siamo di fronte, nella Politica, alla sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Nell’uomo questa sindrome (ADHD) è un disturbo dello sviluppo neurologico caratterizzato da alterazioni della crescita, e dello sviluppo del cervello o del sistema nervoso. È caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che rende difficoltoso e in alcuni casi impedisce il normale sviluppo, l'integrazione e l'adattamento sociale di bambini, adolescenti ed adulti.

I disturbi più frequentemente associati con l'ADHD sono il disturbo oppositivo-provocatorio e i disturbi della condotta, i disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia, ecc.), i disturbi d'ansia e con minore frequenza la depressione, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo da tic e il disturbo bipolare.

Se ci pensiamo sono esattamente i comportamenti che vediamo sempre più spesso esercitati dai nostri disturbati politici nell’esercizio delle loro funzioni.

Nei bambini si è pensato di sopprimere il sintomo col Ritalin, un farmaco che ha sollevato non poche perplessità, mentre nel sociale si pensa di sopprimerlo con il predominio del Mercato sullo Stato.

Pensate l’intelligenza sopraffina: il Mercato, per il quale l’uguaglianza tra gli uomini è una bestemmia se applicata alle capacità che servono per ben operarvi, oggi si ritiene debba occuparsi in toto della Scuola e dello Stato.

Quel Mercato che, corrotto in questi due secoli dall’indebito occuparsi di esso dello Stato, non ha potuto esprimere il suo dna fraterno e si presenta i nostri occhi come tirannico e predatorio nei confronti delle Persone, delle Comunità e dei Territori: il Italia, in Europa, nel Mondo.

Non serve il Ritalin-Mercato. Non serve sopprimere il sintomo, ma ricercarne la causa. Quella causa che ha ben individuato Galli della Loggia ma, direi quasi, senza accorgersene.

Quando la Politica (lo Stato) fa tutto lei, decide tutto lei anche su Cultura ed Economia, il caos sociale è assicurato. Allo stesso modo quando l’Economia (il Mercato) fa tutto lei, decide tutto lei anche su Cultura ed Economia, il caos sociale è assicurato. Siamo di fronte ad un’operazione matematico-sociale per la quale cambiando l’ordine dei fattori il prodotto (il caos sociale) non cambia.

Serve perciò impedire allo Stato, come al Mercato difare, decidere e dirigeretutto. Serve perciò sottrarre Scuola e Mercato allo Stato, così come serve contemporaneamente sottrarre Scuola e Stato al Mercato. Serve strutturare il sistema sociale attuale in maniera diversa, innovativa: serve che Scuola, Stato e Mercato non si cementino più in un blocco unico.

Se si è afferrato non lo slogan di Bauman ma la sua concretezza, e abbiamo compreso di essere entrati evolutivamente nella Società liquida allora Cultura, Politica ed Economia sono tre liquidi sociali diversi che necessitano – per non corrompersi reciprocamente – di tre contenitori diversi, in cui possano autonomamente conservarsi ed operare.

Ne abbiamo spesso trattato da più punti di vista su questa rubrica. Discutiamo concretamente di questo, di come ottenere concretamente questo. Non di miliardi di programmi partitici illusori, e destinati inevitabilmente al fallimento, escogitati da Politici che hanno ridotto la Politica democratica al vuoto pneumatico, al caos totale.

 

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