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La Società liquida viene sostituita dalla Società gassosa

Cambia la struttura ma il sistema resta malato


16/10/2016

di Andrea di Furia

Società liquida addio. Spodestata dalla Società gassosa. Da tempo abbiamo segnalato questo cambiamento di prospettiva che però risulta chiaro e comprensibile in concreto, e non come semplice slogan, solo se si osserva il sistema sociale moderno con un pensare tridimensionale.

Il risultato del bellicoso ping pong tra Stato e Mercato, cui assistiamo in varie forme in Europa e nel Mondo, non si afferra realmente se non lo si osserva quale effetto di un meccanismo ormai sfuggito dalla mani dell’Uomo di inizio terzo millennio .

Per molti ancora sembra una lotta alla pari, ma dal punto di vista strutturale sociale il Lottatore di Sumo Mercato, che trae la sua potenza dal Pianeta intero, ha già stritolato lo Stato Ballerino di tip tap, che sua forza trae dal perimetro dei confini nazionali.

Questo avviene perché il nostro sistema sociale è anacronisticamente strutturato a 1D, ossia in modo che una delle tre dimensioni sociali (o Economia, o Politica, o Cultura) prevarichi le altre due e le soggioghi.

Storicamente si è assistito al triplice avvicendamento: della dimensione culturale-religiosa nel Medio Evo (la Società "solida" dei valori), poi dello Stato nazione ottocentesco (la Società "liquida" dei diritti e doveri) e infine tocca oggi al Mercato finanziario (la Società "gassosa" della ricchezza e della precarietà).

Nonostante le apparenze una continua degenerazione sociale, al netto del rutilante progresso tecnologico, che si paga a caro prezzo.

E che lo Stato abbia ormai perso la sua partita, e sia asservito al potere economico delle Banche Internazionali, che la Società "liquida" sia stata sostituita dalla Società "gassosa" può essere osservato da una serie di fenomeni: le bolle finanziarie, l’esplosione improvvisa delle Banche, la fine della crescita a due cifre dei BRICS.

Ma anche un'ultimo fenomeno, anzi non ultimo ma causa prima, ci conferma questo avvicendamento: la "deflazione" - in macroeconomia una diminuzione del livello generale dei prezzi - che attanaglia buona parte dell’economia capitalista globale e sembra essere vissuta come un evento naturale incontrollabile. Ma è proprio così?

Interessante l’intervento in Diariodelweb.it del 08/09/2016 di Maurizio Pagliassotti sul tema della “deflazione confiscatoria”- così come viene definita dalla scuola neoliberista che imperversa, perversa, sull’economia mondiale - ovvero la trappola del debito che sostanzialmente genera accumulazione di ricchezza presso proprietari stranieri tramite esproprio dei precedenti proprietari nazionali.

Maurizio Pagliassotti: «La deflazione è una condizione strutturale insita nell’ideologia neoliberale. Non può esistere neoliberismo, anche spurio come quello europeo, senza deflazione. La scuola neoliberale la pone al centro della propria ideologia, e sostiene che un processo deflattivo non incide sul benessere della società quando questa riesce a prevedere questi processi, e a contenerli all’interno di previsioni atte a mitigare i costi di produzione. In questo caso la domanda aggregata non subirebbe variazioni e ci si troverebbe solo di fronte ad una contrazione della massa monetaria. Anzi, il capitale circolante verrebbe investito solo in imprese realmente necessarie e profittevoli. Si perderebbe così il bisogno, tipico delle economia statali, di investire “eccessi” di moneta in spesa pubblica più o meno produttiva. Massimo esempio di capitale pubblico “sprecato”, per la scuola neoliberale, è il welfare state, sostenuto solo grazie a una crescente quota di debito pubblico e non dalla prospettiva di un ritorno economico».

 


In sintesi, la religione economica liberista punta al contenimento dei prezzi e non alla piena occupazione.
Anche se dichiara sempre di voler tutelare l’occupazione, ma con un ragionamento ipocrita che scarica la responsabilità dei propri apprendisti stregoni tecnocrati su quella vorace allucinazione che è il cosiddetto Mercato: come si evince dal seguente commento.

Maurizio Pagliassotti: «Un calo dei salari, in regime di deflazione, non crea disoccupazione in sé, dicono. La disoccupazione è quindi solo una libera scelta del lavoratore, che non accetta di impegnarsi alle condizioni date dal mercato. Prezzi più competitivi, cioè la deflazione, in linea teorica non incidono sulla produzione perché parallelo alla caduta dei salari vi è la caduta dei prezzi e quindi il sistema rimane in equilibrio. Qualora vi siano disequilibri tra salari e prezzi, questi verranno colmati dalle organizzazioni caritatevoli e dalle famiglie».

Ma questo fatto matematicamente così chiaro non è senza effetti collaterali negativi nella realtà delle altre due dimensioni sociali: sul lato culturale personale si evidenziano nella comparsa di competenze iperspecializzate elitarie, sul piano politico collettivo si evidenziano nella scomparsa della classe media come sottolinea il nostro.

Maurizio Pagliassotti:«Un’intera generazione matura, adulta, e addirittura al limite della vecchiaia, per sopravvivere deve ridiscendere un gradino nella classe sociale. I giovani, che navigano nella disoccupazione prossima al 40%, sono l’altro lato della medaglia. Ma per loro non si tratta di regressione, perché senza soldi erano, senza soldi sono e senza soldi rimarranno».

Tanti analfabeti sociali di ritorno moderni danno la colpa alla crisi, vista come un fenomeno naturale indipendente dalle azioni dell'uomo. Ma è così?

Maurizio Pagliassotti:«Non si tratta di crisi, si tratta di processi di gestione e manipolazione della crisi. Un concetto nettamente diverso. Se analizziamo tutti gli indicatori relativi alla redistribuzione della ricchezza non potremo non notare che gli anni caratterizzati dal binomio «crisi-deflazione» sono connotati da uno strumento primario: l’accumulazione attraverso l’esproprio».

Dunque, lo strumento utilizzato è sempre stato lo stesso: la trappola debitoria che genera accumulazione tramite esproprio. Dal 1980, spiegava qualche tempo fa l’economista Stiglitz: «l’equivalente di oltre 50 piani Marshall (4600 miliardi di dollari) è stato inviato sotto forma di prestiti alle popolazioni delle periferie del mondo. Un mondo strano quello in cui sono i poveri a sovvenzionare i ricchi».

Per gli economisti Robert Wade e Frank Veneroso nel loro volume del 1998 The asian crisis: the high debt model versus the Wall Street-Treasury IMF complex: «La miscela di massicce svalutazioni, liberalizzazione finanziaria voluta dal FMI, ha come esito il più grande trasferimento di ricchezze avvenuto in tempo di pace da proprietari nazionali a proprietari stranieri negli ultimi cinquanta anni [ora 70 !] in tutto il mondo.”

Maurizio Pagliassotti: «Ovviamente questi processi altro non sono che leve, utilizzate per un fine politico: la fine degli Stati nazione e la sostituzione con una mega struttura chiamata "Mercato"».

Come volevasi affermare: Società liquida addio. Spodestata dalla Società gassosa. Socialmente molto, molto, molto più pericolosa. Esplosiva.

 

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