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Siamo tutti Schiavisti involontari: perché allora non cambiare?


24/06/2021

di Andrea di Furia

Seguendo il proverbio il tempo è denaro, di solito si pensa che se uno spreca tempo perde anche opportunità economiche: una variante di chi dorme non piglia pesci. Raramente si pensa che il denaro è tempo, nel senso che il denaro corrisponde al tempo necessario a chi lavora per produrlo.

Nella prima direzione si parte da un qualcosa (il tempo) che è liberamente a disposizione di tutti per una vita degna di essere vissuta, mentre nella seconda opposta direzione si parte da qualcosa (il denaro) che per una vita degna di essere vissuta è a disposizione di pochi, ma dà potere su tutti.

Potere sugli altri uomini che esercitiamo ogni volta che spendiamo il denaro, in qualsiasi forma lo gestiamo: anche quella virtuale degli strumenti informatici.

Ed è il potere dello Schiavista: per il fatto che oggi, al fine di sopravvivere, apparteniamo tutti al mercato del lavoro. Lavoro che, salvo pochi rarissimi casi, siamo costretti ad accettare anche se non ci piace - anche se è ottenibile solo rinunciando a condizioni di vita degna dell’uomo - se vogliamo ottenere il denaro che farà sopravvivere noi e la nostra famiglia.

Potere dello Schiavista che viene esercitato anche dallo schiavizzato nel momento in cui tira fuori dalle proprie tasche il denaro che gli serve per sopravvivere: ciò che compera proviene dal lavoro di altri schiavizzati per sopravvivere.

Facile capirlo quando comperiamo sottocosto una latina di pomodoro prodotta dai migranti vittime del caporalato, più difficile quando comperiamo un prodotto hi-tech. Ma cambiando l’ordine dei fattori non cambia il prodotto finale che ci rende tutti Schiavisti: persino quando il denaro lo doniamo!

Come la rana non si accorge di venir lessata dolcemente nella pentola, così nel vivere lessati dal clima di continua emergenza che la nostra civiltà ci impone non ci accorgiamo di venir resi dolcemente tutti degli Schiavisti dal triplice rapporto: denaro-sopravvivenza-lavoro.

Se ripercorriamo le cronache degli ultimi 70 anni della nostra Repubblica troviamo che l’emergenza è la normalità. Emergenza dopo la guerra, emergenza per il boom economico, emergenza per l’Austerity degli anni ’70, emergenza per Mani pulite, emergenza per l’adesione all’Unione europea, emergenza per rinunciare alla Lira e adottare l’euro, emergenza per l’attacco delle Società di rating nel 2011, emergenza per la crisi sanitaria, ma più per l’inadeguatezza, impreparazione e insufficienza delle strutture ospedaliere che del coronavirus vero e proprio.

Emergenza del tempo che sempre si ritiene di risolvere ricorrendo al denaro, che, in quanto tempo rubato alla nostra vita da schiavi, è una delle reali cause produttrici delle varie emergenze.

E il problema del nostro rapporto con il denaro è il problema cardine della Società umana gassosa attuale, in cui il sistema sociale è dominato dalla dimensione Economia: che schiavizza le altre due per i propri fini sempre con il potere del denaro.

Sia Cultura che Politica hanno avuto il loro momento di gloria, durato millenni, durante il quale siamo passati dalle Teocrazie orientali (Antico Egitto) alle Democrazie centrali (greche, romana, europee), per finire oggi alle Mercatocrazie occidentali (UK, UE e USA): passaggio dove l’elemento chiave è stato prima il dogma religioso, poi l’ideologia politica e infine ora è il denaro che ci rende tutti Schiavisti in senso oggettivo, anche se sentiamo di essere onestamente contro ogni forma di schiavitù.


Questo potere esorbitante del denaro di renderci tutti Schiavisti - persino quando siamo noi gli schiavizzati dal lavorare per denaro - nasce da una serie di fattori che si sono consolidati da poco, storicamente parlando.

La base fondamentale è che il nostro sistema produttivo è incentrato sulla “divisione del lavoro, grande conquista dell’Economia moderna: nessuno si autoproduce tutto (salvo rarissimi casi, che sono l’eccezione che conferma la regola), e tutto ciò che ci serve viene prodotto da altri.

Per questo quando spendo il denaro che ho guadagnato (speculando in Borsa, scommettendo al Casinò, ereditando dalla Mamma ricca o, perché no, lavorando) al fine di comprare qualsiasi cosa mi serva, quel denaro fotografa il lavoro di altri che sono stati resi schiavi dal fatto che nell’attuale sistema sociale si è obbligati a lavorare per sopravvivere. L’emergenza epidemica, soprattutto per i provvedimenti esagerati presi dai Governi, lo ha mostrato benissimo.

Il mercato del lavoro è la forma finale di schiavitù che dobbiamo superare: un professionista costretto a lavorare per ottenere il denaro che gli serve per sopravvivere non è in nulla diverso dal migrante vittima del caporalato che per lo stesso motivo raccoglie pomodori.

Potere del denaro che nella Società gassosa economico-finanziaria assume unilateralità antisociali, oltre che sul lavoratore per sopravvivere, anche sulle cose: determinandone il valore in funzione di chi lo detiene. Pensiamo all’abbattimento feroce dei prezzi degli agricoltori.

Di norma uno non se ne accorge, se non è l’agricoltore schiavizzato dal potere del denaro della Grande distribuzione organizzata, perché non è il suo settore. Eppure, basta tornare al baratto per accorgersi dell’enorme ingiustizia: per comperare 1 caffè l’agricoltore deve barattare 5 chili di grano!

Quindi, così come occorre che nel sistema sociale le tre dimensioni siano separate per funzione (se vogliamo sottrarci al prossimo venturo suicidio dell’attuale civiltà occidentale), occorre pure che nella dimensione economica il lavoro sia separato dal denaro (se vogliamo sottrarci al presente suicidio della nostra dignità di donne e uomini): ovvero serve che la mia sopravvivenza non dipenda dal mio lavoro, ovvero che il tempo della mia vita non sia determinato dal denaro.

Ed ecco che qui ci ritroviamo a boccheggiare con un pensiero sociale anoressico e debole, che vive del si è sempre fatto così: che si adagia passivo nella confort zone del già visto e del già fatto.

Invece vanno pensati attivamente pensieri nuovi: il pensare di millenni e di secoli fa oggi non funziona più, produce solo emergenza sociale perché non è più adatto al tempo in cui viviamo.

Proviamo a pensare così: il lavoro non deve più essere un fatto economico, dove diventa lavorare per sopravvivere e crea un'Umanità di schiavi, anche delle macchine. Nel sistema esistono anche due altre dimensioni: può il lavoro essere un fatto politico o un fatto culturale?

Sì: se è un fatto politico, allora il lavoro deve servire alla Comunità, essere la risposa alle “necessità sociali” e non al proprio tornaconto egoistico; se è un fatto culturale, allora il lavoro deve essere un “libero dono”, una scelta individuale consapevole e responsabile.

Vedremo prossimamente come queste due scelte ci possono entrambe togliere la patente di Schiavista involontario: involontario, però, solo finché non ci si pensa.

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