Share |

Società "bonsai" e politici dispettosi

Si parla di autonomia, ma non sempre a proposito


25/02/2019

di Andrea di Furia

Mai sentito qualcuno lamentarsi di quanto siano “piccoli” i nostri politici? E se li osserviamo durante lo stantìo e disturbante battibecco [“Ci sarà una manovra correttiva che penalizzerà gli Italiani” – “No, non ci sarà nessuna manovra correttiva che penalizzerà gli Italiani”] nei TG tra opposizione e Governo non possiamo che verificare il dato di fatto: politici come mocciosi che reciprocamente si fanno i dispettucci.

Al di là del dato antropologico psico-corporeo che ormai interrompe l’evoluzione dell’uomo attuale intorno al quarto di secolo, anche il suo modo di pensare è sempre più ristretto e microscopico: tendente al micragnoso. Se intorno agli anni 30 del ‘900, ad esempio, la durata media di vita di un’impresa era di circa 90 anni [(tre generazioni) e superava quella media dell’uomo di più di una generazione], oggi si è ridotta intorno ai circa 17 anni. E non dura neppure un quarto dell’attuale vita media dell’uomo (80 anni).

Una delle ragioni di questa vita di impresa così misera è addirittura scolpita nel codice civile italiano nell’art. 2247, che statuisce per che cosa nasce un’attività economica secondo la legge: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.

Se ci pensate, non solo quello di dividersi gli utili come scopo per far nascere una Società è il più micragnoso possibile, ma è anche l’indice della confusione di pensiero che sempre più sta diventando una nebbia antisociale che non ci fa vedere nulla al di sotto dei tre metri dal nostro naso.

Lo scopo di dividersi gli utili in una Società che intraprende un’attività  è “una prassi” economica consolidata. Non è un diritto! Eppure è diventata un diritto, e per di più esclusivo di altri scopi, nell’art. 2247. Se vogliamo vederlo dal punto di vista culturale si è trasformato un “mezzo” (la divisione degli utili) in un “fine”. Il che dal punto di vista sia della morale che dell’economia (intesa nel suo significato) è un male. E ci fa male.

Con questo modo di pensare ristretto e micragnoso sia dal punto di vista economico (prassi economica che diventa un diritto esclusivo e penalizza la durata di vita dell’impresa rendendola sempre più corta) sia dal punto di vista culturale (mezzo che diventa un fine esclusivo ossessionato dal breve termine)… come si può ritenere che sia diverso da ristretto e micragnoso anche dal punto di vista politico?

Cosa fanno i politici (di destra, sinistra e centro) accorti di oggi? Pensano solo quello che vedono nel raggio di 3 metri dal loro politico naso. Evitando la stupida polemica attuale Governo-opposizione, come si sono comportati i politici al Governo e all’opposizione nei 70 anni trascorsi dalla nascita della Repubblica italiana [solo per non andare dall’Unità d’Italia nel 1861, perché il risultato è lo stesso], oggi alla sua 4° versione?

Come si sono comportati i politici in queste 17 legislature? Nei circa 4 anni di vita media a legislatura erano senz’altro meno social, ma erano esattamente come i dispettosi mocciosi di oggi.

L’unico tra loro che aveva una visione che superava i tre metri dal naso e fuoriusciva dalla nebbia del pensare sociale solito era Adriano Olivetti: ma il suo Ordine politico delle Comunità è tutt’ora ignorato. Mentre sempre più le Comunità stanno diventando il focus della politica... siamo ancora all’Italia dei Comuni!

 


Idea bellissima a fine Medio –Evo e a inizio Rinascimento, ma assolutamente ristretta e micragnosa oggi, figlia di quel pensare sociale a una dimensione che non si accorge che ciò che ritiene la Società umana è solo un modello “bonsai”: il risultato del rimpicciolimento costante degli obiettivi sociali (culturali, politici ed economici) perseguiti per dare in mano il sociale tridimensionale ad una sola delle tre dimensioni.

Così in fatti si impedisce ogni richiesta di autonomia anche se, a parole, la si concede! Pensiamo alla Scuola: nell’ultimo decennio si è attuata la sua cosiddetta autonomia, accorpando classi e istituti. Ma di che autonomia si tratta?

I programmi scolastici non sono autonomi nella Scuola (organo economico) di ogni ordine e grado: li fissa infatti il ministero (organo politico). E gli edifici della Scuola a chi appartengono? Nell’involuta Italia appartengono al Comune o alla Provincia o alla Regione e non, come avviene nell’evoluto Nord Europa, alla Scuola stessa.

E la manutenzione ordinaria, carta igienica, materiali e rotture varie? Se si rompe un vetro in una classe può autonomamente la Scuola provvedere? No, perché le Scuole dei più piccini dipendono dal Comune e quelle dei più grandi dalla Provincia.

Adesso immaginate l’ulcera del Preside di un Istituto scolastico se si rompe un vetro in una prima elementare e un altro nella prima liceo. Due classi magari limitrofe perché non c’è spazio. Non è un delirio che debba rivolgersi per un vetro al Comune e per un vetro alla Provincia? E sapete che l’organo amministrativo (Comune/Provincia) deve fare un appalto? Per un vetro, come per un pacco di carta igienica?

Ma se pensate che è un delirio, da che punto di vista vi ponete? Da quello delle “vive” Comunità di Adriano Olivetti, che le voleva emancipate rispetto alla “morta” burocrazia territoriale (Comune, Provincia, Regione). Mentre la realtà burocratica è pensata dal punto di vista del Comune/Provincia/Regione.

Qual è la differenza? Che nel primo caso la manutenzione ordinaria è sottratta al Comune/Provincia e affidata autonomamente alle Scuole – che risolverebbero il giorno stesso il problema – mentre nel secondo è affidata all’organo amministrativo… che deve fare l’appalto. Quindi la Scuola deve accontentarsi di rattoppare con lo scotch la finestra, in attesa dei tempi lunghi della burocrazia.

Ora il problema per le Scuole circa la manutenzione ordinaria fa parte di quel tema delle autonomie che tanto affascina, ma che mai viene affrontato alla sua origine.

La prima autonomia socviale in assoluto, che consente tutte le altre autonomie settoriali – a meno che non si voglia mentire sapendo di mentire o ingannare con provvedimenti strabici, finti e illusori – è la reciproca autonomia delle tre dimensioni sociali.

La dimensione culturale dovrebbe essere autonoma in tutto ciò che qualitativamente le è pertinente, e così pure la dimensione politica e la dimensione economica. La Scuola dovrebbe occuparsi di tutto ciò che è educazione/formazione personale: anche negli istituti tecnici e commerciali. E siccome la Persona è il focus di questa dimensione anche il diritto Penale e Civile dev’essere area riservata alla dimensione culturale e non a quella politica o pubblica, per intenderci, cui invece va riservato il diritto pubblico. Perché?

Perché il focus della dimensione politica non è la Persona, ma la Comunità delle persone amministrate. Sembra una piccola differenza dal punto di vista quantitativo (il solito ristretto e micragnoso), ma dal punto di vista qualitativo è abissale! E la dimensione politica può essere autonoma esclusivamente sui temi della difesa delle Comunità e dei diritti e doveri che circolano al loro interno.

E il focus della dimensione economica? Su che cosa si fonda la sua autonomia? Sulle Persone, no. Sulle Comunità, no. Si fonda sui Territori! In quest’ottica l’autonomia può darsi sulla circolazione di merci e servizi sui territori. Perché sui territori ci sono quelle materie prime (dalle terre rare per le CPU informatiche, al vino per le nostre tavole) che sole consentono di predisporre e destinare quei beni e quei servizi alla soddisfazione dei bisogni di Persone e di Comunità.

Se si riesce a pensare questa tridimensionale autonomia, si trasforma di colpo l’attuale antisociale Società bonsai dei mocciosi dispettosi nell’equilibrata Società tridimensionale all’altezza dei tempi attuali cui tutti, senza neppure sospettarlo, anèlano con i loro giudizi, critiche, delusioni e speranze.

Società tridimensionale che può soddisfare tutti. E non solo i soliti qualcuno.

(riproduzione riservata)