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Governo in bilico: stiamo per arrivare alla resa dei conti?

Sinora, complici le elezioni europee, l’accomodamento sulle diversità si è trovato. Ma presto i tanti, troppi nodi verranno al pettine


25/02/2019

di Mauro Castelli

Lo strapotere di Matteo Salvini sul compagno di strada, il pentastellato Luigi Di Maio, sta per mettere in crisi il Governo nonostante gli accomodanti proclami di facciata. Ma non bastano le bugie a fin di bene, sparse in ogni dove, a salvare capra e cavoli. E non basta incerottare di qua e incerottare di là le diverse magagne per risolvere i troppi problemi sul tappeto. 
La realtà è infatti sotto gli occhi di tutti: il leader della Lega ha dalla sua il consenso popolare (secondo i sondaggi ha raddoppiato il numero dei sostenitori), mentre la prima guida del Movimento, oltre a dover fare i conti con una inarrestabile emorragia di supporter (evidentemente la politica dei no su questo e su quello - in pratica su tutto - non paga), si trova a dover fronteggiare anche i troppi mal di pancia interni. Con gli irriducibili, e sono parecchi, a bacchettare il logorroico maestro per ogni suo tentativo volto a rabberciare quel che resta di un Esecutivo a pezzi, che si regge quel tanto che basta per arrivare alle prossime elezioni europee di maggio. Poi chi vivrà vedrà. 
In effetti è sotto gli occhi di tutti quel che è successo con il ricorso al voto popolare, via web, volto a salvare Salvini dagli attacchi di una magistratura (come è successo peraltro con i genitori di Matteo Renzi e, prima ancora, con il tiro al bersaglio su Silvio Berlusconi) che troppo spesso viaggia in ordine sparso. Tanto da lasciar intendere che il pur criticato Giovanni Giolitti, a più riprese presidente del Consiglio nei tempi andati, non avesse tutti i torti quando affermava che la Giustizia per gli amici si interpreta e per i nemici si applica. 
Ma torniamo a Di Maio. Già criticato per il fatto di essersi mosso in conto terzi (un uomo di Governo dovrebbe sapersi prendere le proprie responsabilità, come nel caso della nave Diciotti), è stato poi oggetto di vergognose prese di posizione quando la Piattaforma Rousseau ha deciso, per voto popolare, che il leader leghista (e quasi certamente lo stesso di Maio, il premier Conti e il ministro dei Trasporti Toninelli) non doveva andare a processo. Semmai, una volta tanto, era stata fatta una cosa giusta. Ma apriti cielo, l’ideologia si è subito scatenata. Con il risultato di riempire le aule parlamentari di chiacchiere, benché il Paese stia viaggiando su una gran brutta china, quando invece avrebbe bisogno di decisioni rapide e mirate. Come peraltro confermato dall’ulteriore crollo, a dicembre, della produzione industriale. 
A guardar bene il “salvataggio” di Salvini sembra aver avuto la sua ovvia contropartita: quella di congelare e ridiscutere il progetto relativo alla Tav nonostante le minacce dell’Unione europea di stornare gli stanziamento in atto e benché si facciano più pressanti le rivendicazioni francesi volte, in buona sostanza, a chiedere i danni se la Torino-Lione si perdesse per strada. Ferma restando l’arrabbiatura delle componenti sindacali, preoccupate per l’eventuale perdita di cinquantamila posti di lavoro. 
Insomma, il non voler guardare oltre la siepe di partito, pardon, di Movimento, non si finisce molto lontano. Cosa sarebbe stato infatti se non si fosse realizzata l’Austostrada del Sole? Ricordo che nei primi dieci anni dalla sua entrata in funzione le auto, sulla Milano-Bologna, la tratta più frequentata, si contavano sulle dita di una mano. Mentre oggi, nonostante gli ampliamenti, il traffico è arrivato al limite del sopportabile. 
Purtroppo, come accennato, a Palazzo Chigi e a Montecitorio - aule sfortunatamente frequentate da incompetenti della politica - vige la legge del rifiuto. Con il reiterato blocco - nonostante i proclami di facciata - delle grandi e medie opere, quelle che, non ci vuole un genio a capirlo, potrebbero rimettere in moto la nostra economia. La cui crescita è ormai azzerata, alla faccia dell’ottimismo sbandierato soprattutto dai grillini. Pronti a giurare su una ripresa sostenuta dal reddito di cittadinanza, una misura che, per contro, anziché creare posti di lavoro darà la stura a una ulteriore vagonata di nero e di nullafacenti a carico dello stato. Come peraltro le indicazioni stanno a dimostrare. Con una corsa fasulla alla povertà non certo frenata dalla minaccia, per chi sgarra, di finire dietro le sbarre sino a sei anni. 
Logico quindi che, viste come si sono messe le cose, una manovra correttiva stia diventando necessaria, nonostante le rassicurazioni di Salvini che, ritenendola “bizzarra”, ha assicurato: niente prelievo sui conti correnti, niente tasse sulle case, niente di niente insomma.  Per contro il ministro Tria, più prudente, non l’ha diplomaticamente ritenuta, “al momento”, necessaria. Ma non sono pochi i tecnici che parlano di altri otto miliardi di euro da recuperare. Ma come? 
Già, ma come, visto che siamo alla canna del gas con il nostro debito pubblico?

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