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Il Giappone ci corteggia, ma noi non sembriamo accorgercene

Nel Paese del Sol Levante siamo molto apprezzati, eppure non rientriamo tra i loro principali fornitori. Diamoci quindi da fare a livello di immagine e comunicazione


17/06/2019

di Mario Pinzi


Molte volte le nostre imprese hanno rinunciato al business per il timore di non essere all’altezza delle esigenze del Paese dove desideravano esportare. 
Questo è il caso incredibile del Giappone, dove molte aziende del Made in Italy si sono intimorite per la diversità di costumi e abitudini di questo popolo. Il Sole Levante, che da sempre ha dimostrato di amare i nostri prodotti, ci invita a non aver paura e a formulare un’offerta in linea con le proprie esigenze. 
Con una popolazione doppia e un Pil pro-capite superiore del 10% a quello italiano, il Giappone rappresenta un mercato di estremo interesse per il nostro export di Food & Beverage. 
Il Paese del Sol Levante, con un valore superiore ai 57 miliardi di euro, rappresenta il quinto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari. 
Nel corso dell’ultimo decennio, il valore degli acquisti dal nostro Paese sono passati da 537 a 865 milioni di euro, denotando una crescita superiore al 50%. Anche i primi dati relativi al 2019 evidenziano un ulteriore crescita: nel primo quadrimestre di quest’anno, le importazioni di prodotti agroalimentari italiani in Giappone sono cresciute di quasi il 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, rispetto ad una media di mercato che ha visto aumentare l’import totale di circa il 9%. 
Un trend certamente favorevole, soprattutto per quanto riguarda l’import di vino, cresciuto ad un tasso medio annuo del 4%, quello di formaggi (+5,9%) e dell’olio d’oliva (+7,5%). Nonostante questo, l’Italia non rientra tra i principali fornitori, pesando per appena l’1,5% delle importazioni, e deve fare i conti con Francia, Usa, Australia e Paesi asiatici, suoi principali concorrenti. Come mai? 
E’ questo uno dei principali temi approfonditi durante il IV Forum Agrifood Monitor, organizzato da Nomisma e Crif e tenutosi nei giorni scorsi presso il Palazzo di Varignana, sulle colline bolognesi, che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia-Giappone; di Paolo De Castro, europarlamentare; di Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte; di Daniele Salvagno, presidente di Redoro Frantoi Veneti; di Gian Paolo Gavioli, direttore commerciale Caviro; nonché di Koji Misawa, direttore commerciale di Elisir co. Ltd, e di Miciyo Yamada, giornalista ed esperta di consumi alimentari nel mercato giapponese. 
«La survey che abbiamo realizzato in occasione del Forum su 1.100 consumatori giapponesi ha confermato l’Italia come il paese più rappresentativo del food di qualità nel percepito della popolazione, surclassando sia la Francia che gli Stati Uniti, questi ultimi principali fornitori di prodotti agroalimentari nel mercato giapponese», ha evidenziato Evita Gandini, Project Manager dell’Area agroalimentare di Nomisma. 
La qualità, però, sembra non bastare. E nemmeno l’accordo di libero scambio entrato in vigore dal 1 febbraio scorso con i Paesi dell’Ue, che comunque porterà all’azzeramento dei dazi e delle altre barriere non tariffarie vigenti sui prodotti europei dando una ulteriore spinta importante per il Made in Italy agroalimentare in Giappone. Parliamo di dazi e di barriere che per alcuni prodotti bandiera del Made in Italy, come il vino, la pasta e i formaggi, vanno dal 15% al 40%. 
La risposta ci arriva dall’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia-Giappone: «Se vogliamo aumentare la nostra penetrazione nel mercato giapponese, oltre alla spinta propulsiva che può arrivare dall’accordo di libero scambio, dobbiamo capire bene come siamo percepiti i nostri prodotti agroalimentari presso i consumatori locali, qual è la loro reputazione e soprattutto come possiamo conquistare la loro fiducia, chiave di volta per costruire rapporti consolidati di fornitura. Per dare vero slancio al Made in Italy agroalimentare in Giappone occorre, insomma, investire sull’immagine e sulla comunicazione». 
Nel settore agroalimentare, come del resto in molti altri comparti della nostra economia, lo sviluppo dell’export è un processo complesso per le imprese, specie per quelle di piccola dimensione. E’ importante, quindi, sostenere fin da subito investimenti economici e di tempo per gestire al meglio le attività di comunicazione. In particolare, come afferma Umberto Vattani, è importante trasmettere al consumatore giapponese, molto sensibile a questi aspetti, una buona immagine si sé e del prodotto, la serietà dell’impresa e la storia famigliare che c’è alle spalle. Occorre fornire sull’etichetta più informazioni possibili sull’origine del prodotto. 
In definitiva, per poter “vincere” in Giappone il marchio Made in Italy non basta. Occorre un cambio culturale radicale per fare leva sulle percezioni del consumatore finale. Parola d’ordine? Comunicazione.

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