Share |

Il paradosso delle migrazioni in Italia: un Paese che non sa più pensare il sociale


25/03/2023

di Andrea di Furia

Il rapporto immigrati esteri in Italia ed emigrati nostrani all’estero, sostanzialmente è un quasi pareggio: 5.200.000 immigrati esteri e 5.800.000 emigrati italiani all’estero. Infatti, dal 2006 al 2022 la mobilità italiana all'estero è cresciuta dell'87%, passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni secondo il rapporto “Italiani nel mondo 2022” della Fondazione Migrantes.

Nel 2022 sono entrati in Italia ca. 100.000 emigranti e sono usciti ca. 150.000 italiani. Stime che tuttavia non qualificano la realtà del fenomeno: ad esempio sarebbe utile chiedersi quanti emigranti puntano all’Italia come sede definitiva (sembra il 5%, in realtà) e quanti invece (sembra il 95%) transitano semplicemente per raggiungere altri Paesi europei. E quali sono i motivi dell'emigrazione italiana?

La cosa che sconcerta è che il fenomeno immigrazione pare essere la soluzione del problema di mancanza di personale lavorativo in Italia, delle future pensioni, della natalità ecc. Non è un problema di oggi, la migrazione, e ciò per cui è soluzione permane nella narrazione dei vari Partiti di Governo e di Opposizione.

Tuttavia, sembra che i Partiti pur di dimostrare che il problema va risolto ideologicamente (la destra in un modo, la sinistra in un altro) non sappiano più cosa sia l’interesse nazionale (della Comunità dei cittadini italiani) e neppure sappiano pensare una soluzione di buon senso slegata dal proprio mito discorsivo. Né sanno copiare chi invece non chiacchiera e agisce, come avviene oltreoceano.

In Canada, il ministro dell’Immigrazione Sean Fraser dice che c’è bisogno di 1,4 milioni di migranti in tre anni per coprire i posti di lavoro mancanti. Dunque, saranno accolti 465.000 nuovi residenti permanenti nel 2023, 485.000 nel 2024 e fino a 500.000 entro il 2025: sono, per ogni anno, 5 volte gli emigranti sbarcati in Italia nel 2022.

Questo piano di immigrazione economica, mirata alle competenze, aiuterà le aziende a trovare i lavoratori di cui hanno bisogno, sia per i molti posti di lavoro venuti meno con la pandemia, e rimasti vuoti, sia per il naturale allontanamento annuale dal lavoro attivo per raggiunta anzianità. E, come effetto collaterale desiderato, moderando il declino della natalità infantile: comune a tutti i Paesi cosiddetti "economicamente evoluti".

In Italia invece di gestire i flussi direttamente (cosa che creerebbe anche posti di lavoro e servizi qualificati), si preferisce delegarli a Paesi terzi che non garantiscono il minimo sindacale di “umanità” durante il transito; si preferisce poi accatastarli in strutture inadeguate e sempre più congestionate e fatiscenti, invece che relazionarsi direttamente a casa loro, nei nostri Consolati e Ambasciate, dove espletare tutte le pratiche necessarie.

Ancora una volta non è la polemica che si vuole sollevare, ma piuttosto suscitare una domanda: “Come mai non si sa più pensare il sociale?”.

La cosa che salta all’occhio è che fino a che si resta sul piano discorsivo-teorico la critica è capace di cogliere il fenomeno e di stigmatizzarlo, ma quando poi dall’astrazione concettuale passa all’azione [parola grossa in Italia… “passare all’azione”] si produce addirittura un peggioramento della situazione di partenza o si partorisce la classica “non soluzione” o il rinvio. E questo per il 99% dei problemi sociali attuali.

Sembra che chi pensa il sociale viva in un cosmo di slogan e di etichette astratte (libertà, democrazia, crescita continua ecc.) come se fosse il mondo della realtà... che tuttavia non è più collegato alla realtà concreta, ma di cui è talmente dogmaticamente certo che non è più in grado di verificare se quel mondo di supposizioni è ancora aderente alla realtà. Diventano così miti di cui si diventa missionari per renderne partecipi tutti, restando indifferenti alle varie esigenze sociali reali: miti su cui poi si celebrano i litigi e i conflitti nel chiacchiericcio sterile dei talk show.

Pensiamo al fenomeno dei Minori stranieri non accompagnati. Sono più di 19.000 in Italia, di cui l’85% è di genere maschile (16.424): il 45,2% ha 17 anni, il 34,8% ha 15-16 anni; il 17,3% ha dai 7 ai 14 anni; e il 2,9% ricomprende i minori fino a 6 anni.

Il 15% è di genere femminile (2.909), di cui il 47,3% ha dai 7 ai 14 anni; il 27,2% ha 15-16 anni, il 16,3%, ha 17 anni, e l’8,8% ricomprende le minori fino ai 6 anni.

Dal 2017 per questi minori di 18 anni c’è la legge Zampa, che finalmente ha stabilito strumenti e procedure legalizzati di buon senso e un Garante dei minori, anche se ancora a 5 anni di distanza mancano gli ultimi decreti attuativi.

Sono stati fatti stanziamenti crescenti per la gestione del processo di accoglienza, ascolto e integrazione e che tuttavia sono naturalmente sempre insufficienti, visto che il fenomeno è in crescita e i Sindaci tra un moccolo e l’altro si arrabattano come possono; come pure le strutture di assistenza sociale e i Tribunali dei minori.

Anche qui l’errore di pensiero socio-economico è evidente: si devono stanziare i fondi che servono per il futuro (questa! è economia), ossia per accogliere (ad esempio) l’aumento di 80 nuovi arrivi previsto nel futuro… non quelli giustificati dagli arrivi del passato: i 25 arrivati dell’anno prima. Si devono mettere in conto prima gli ampliamenti delle strutture di accoglienza relative al futuro, non costringere i Sindaci a inventarsi posti all’ultimo momento o stipare all'inverosimile quelli esistenti. Si sono trovati i soldi per salvare Banche che non se lo meritavano, si possono trovare i soldi per salvare Vite umane?

C’è oggi il virtuoso fenomeno del Tutore volontario, istituito dalla legge Zampa. Figura che è da una parte un grande aiuto per il minore migrante e per la rete di accoglienza, ma dall’altra manifesta il solito “scaricabarile” dello Stato emergenziale: incapace di provvedere a qualsiasi problema sociale se non scaricando legalmente sul Cittadino, obbligato o volontario che sia, la sua riluttanza ad assumere la responsabilità dei propri atti (da quella fiscale, scaricata sulle Imprese; a quella asseveratrice per il bonus 110%, scaricata sugli Architetti; a quella dell’accoglienza dei Minori stranieri non accompagnati, scaricata su... tutta la filiera di rete coinvolta).

Ora risulta evidente che deve cambiare il modo di pensare il sociale economico, politico e culturale: oggi suscitatore impazzito di rifiuti burocratici indifferenziati che trasformano il sistema sempre più in una discarica antisociale a cielo aperto, che rende tossico qualsiasi risanamento sociale ipotizzabile.

Serve tornare alle basi: tornare a riverificare il senso sottostante a vecchi concetti sociali che siamo erroneamente abituati a pensare immutati da generazioni; tornare ad adeguarsi alla realtà e non alle teorie ideologiche, economiche e ora trash-umane che sono tutte spazzatura sociale indifferenziata. Ed è indifferente che sia lo Stato a dominare la struttura UNIdimensionale parassitaria del sistema, o che la domini il Mercato.

Vorrei far notare che al pensiero sociale non servono “sapienti” che sanno dogmaticamente dare risposte incontestabili a tutte le domande poste dalle vecchie generazioni, quanto piuttosto “principianti” che sappiano porsi tutte le domande nuove che servono all’agire sociale sano per le future generazioni.

Ad esempio, questa è una nuova domanda utile alla future generazioni (e anche alla presente!): “Se il sistema attuale emergenziale e antisociale è una infinita discarica di rifiuti sociali indifferenziati che si sono burocraticamente accumulati a montagne negli ultimi 70 anni dalla nascita delle Repubblica italiana… in che modo si deve passare all'azione (come facciamo nel caso dei rifiuti urbani) per attivare non a chiacchiere ma coi fatti la raccolta differenziata di quelli economici, di quelli politici e di quelli culturali?”.

Per chi fosse interessato al tema, nel mio ultimo saggio trova anche l'innovativa risposta relativa.

(riproduzione riservata)