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Più forte dei governi, più influente dell’UE

L’era del World Economic Forum


28/04/2025

di Giuseppe Pizza


Il World Economic Forum ha cambiato leadership. Dopo 54 anni alla guida, Klaus Schwab si è dimesso, travolto da accuse di cattiva gestione finanziaria e abusi interni. A far esplodere il caso, una lettera anonima di un whistleblower che ha denunciato l’uso personale di fondi del Forum, pressioni sul personale e manipolazioni legate alla governance. Il consiglio ha avviato un’indagine interna e ha nominato Peter Brabeck-Letmathe, ex CEO di Nestlé, come presidente ad interim.
Ma la questione non è solo il nome al comando. È il ruolo che il World Economic Forum ha costruito negli anni. Un’organizzazione formalmente privata che, nei fatti, detta l’agenda globale. Clima, innovazione, finanza, alimentazione, sanità: non c’è settore in cui il WEF non sia intervenuto, spesso influenzando direttamente politiche pubbliche. A Davos, ogni anno, si incontrano i potenti della terra: leader politici, banchieri centrali, colossi tecnologici, rappresentanti delle grandi lobby. Nessuno li ha eletti, ma decidono per tutti.
Emblematico fu l’episodio in cui Mario Draghi, allora Presidente del Consiglio, invitò Klaus Schwab a palazzo Chigi. Una scena che difficilmente avrebbe avuto spazio in un contesto democratico sano. Un leader di un’organizzazione privata, ricevuto con tutti gli onori in un luogo istituzionale nazionale, per “dialogare” su temi strategici. Ma quale dialogo è possibile quando nessuno dei due aveva un mandato elettivo?
Ora tocca a Peter Brabeck. Il suo profilo, però, non rassicura. È noto per le sue posizioni nette e divisive sugli OGM e sull’acqua. Da sempre difende l’utilizzo su larga scala degli organismi geneticamente modificati, affermando che le critiche siano frutto dell’ignoranza scientifica. Una posizione che ignora il problema della concentrazione del potere nelle mani delle multinazionali agrochimiche, la dipendenza dei contadini dai brevetti, e i dubbi sull’impatto a lungo termine sulla biodiversità. Ma Brabeck è andato oltre: ha anche affermato che considerare l’acqua un diritto umano sarebbe una visione “estrema”. Secondo lui, va trattata come un bene economico. Una risorsa, quindi, da privatizzare, gestire secondo logiche di mercato, e non da garantire universalmente.
Il problema, però, è più profondo. È diventato impossibile mettere in discussione certi temi senza essere etichettati. Come per esempio se critichi gli OGM, sei anti-scientifico. Il WEF ha costruito una narrazione chiusa, impermeabile al dissenso. Una macchina perfetta per consolidare interessi privati dietro il paravento della modernità e dell’innovazione.
Il cambio al vertice non modificherà questa traiettoria. Il World Economic Forum continuerà a influenzare la politica mondiale, fuori da ogni meccanismo democratico. E continuerà a farlo con il sostegno di molti governi che, invece di rappresentare i cittadini, preferiscono sedersi a tavola con chi decide senza dover mai rendere conto a qualcuno.
Lo dimostra con forza ciò che è accaduto da poco: appena tornato al potere, Donald Trump non si è rivolto al Parlamento europeo, né ha cercato un confronto con le istituzioni democratiche del vecchio continente. No. La sua prima mossa internazionale è stata un discorso al World Economic Forum. In pratica, ha scelto di parlare a Davos prima ancora che a Bruxelles. Un gesto che vale più di mille dichiarazioni: i governi passano, il WEF resta. E detta la linea. Se un presidente degli Stati Uniti considera quella platea il luogo più strategico dove comunicare le sue priorità, significa una cosa sola: il World Economic Forum ha ormai più influenza dell’Unione Europea stessa e se le ideologie del suo leader sono quelle di chi considera l’acqua una merce e gli OGM una necessità indiscutibile, allora non stiamo parlando solo di economia. Stiamo parlando di un progetto politico che scavalca i cittadini, ridisegna i diritti in base al profitto e cancella ogni spazio per il dissenso.
Nonostante tutto, c'è una lezione che possiamo trarre dalla storia, ed è che nessuna struttura, per quanto potente, può resistere indefinitamente. Ogni piccolo passo verso una maggiore responsabilità, ogni critica che solleva il velo su interessi nascosti, è un atto di speranza. E in un mondo sempre più interconnesso, non possiamo più ignorare che il cambiamento è possibile, e che anche le organizzazioni più influenti sono chiamate a rispondere a una nuova visione del bene comune. Il futuro, seppur segnato da sfide enormi, può essere rimodellato dalla volontà collettiva di un'umanità che sceglie di mettere l'interesse di tutti prima dei privilegi di pochi.

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