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Senza un salario minimo l’Italia crolla

Il decennio che determinerà il destino del Paese


17/11/2025

di Marco Ricci


In Italia il dibattito sul salario minimo torna ciclicamente al centro dell’agenda politica, ma senza mai tradursi in una riforma strutturale capace di incidere davvero sulle condizioni di vita dei lavoratori. Il nostro Paese, a differenza della maggior parte degli Stati europei, non dispone di un salario minimo legale universale: la retribuzione minima è affidata alla contrattazione collettiva, uno strumento che in molti settori funziona, ma che in altri lascia ampie zone d’ombra. Ne rimangono esclusi infatti lavoratori frammentati, impiegati in comparti poco sindacalizzati o coperti da contratti con livelli minimi estremamente bassi. In questo quadro, migliaia di persone percepiscono stipendi insufficienti a coprire il costo della vita, e l’inflazione degli ultimi anni ha ulteriormente eroso ogni margine di sicurezza.
L’aumento dei prezzi, pur stabilizzandosi su valori più contenuti rispetto al recente picco, continua a comprimere il potere d’acquisto delle famiglie. Anche un’inflazione media del 2% all’anno, considerata fisiologica dalle banche centrali, comporta sul lungo periodo un’erosione del 20% del valore reale degli stipendi. Questo significa che ciò che oggi risulta già difficile da sostenere — affitti, bollette, carburante, generi alimentari — diventerà semplicemente insostenibile nel giro di un decennio per una larga fetta della popolazione. Se gli stipendi restano fermi mentre tutto il resto aumenta, la tenuta sociale ed economica del Paese viene inevitabilmente compromessa.
Il meccanismo è noto agli economisti: salari bassi determinano consumi deboli, consumi deboli frenano la crescita, una crescita insufficiente riduce le entrate fiscali e mette in difficoltà lo Stato nel finanziare welfare, servizi pubblici e investimenti. È un circolo vizioso che rischia di trasformarsi in una spirale recessiva. La questione salariale, dunque, non è un problema che riguarda solo i lavoratori meno tutelati: è un problema sistemico, che riguarda la competitività delle imprese, la stabilità delle entrate pubbliche e, in ultima analisi, la sostenibilità dell’intero modello economico italiano.
Per evitare questo scenario, la politica dovrebbe riconoscere che l’aumento dei salari minimi non è una rivendicazione ideologica, ma una necessità strategica. Mettere più risorse nelle mani delle famiglie non significa alimentare inflazione, come spesso si sostiene impropriamente: significa stimolare i consumi, sostenere la domanda interna e creare le condizioni per una crescita più solida e duratura. Quando le persone hanno più potere d’acquisto, spendono di più; quando spendono di più, le aziende producono e investono; quando le aziende investono, assumono; quando assumono, aumenta l'occupazione; e quando aumenta l’occupazione, crescono le entrate fiscali dello Stato. È questo il circolo virtuoso che oggi manca e che un salario minimo adeguato potrebbe contribuire ad attivare.
Serve quindi un intervento immediato, che stabilisca una soglia retributiva dignitosa, indicizzata all’inflazione e coerente con gli standard europei, accompagnata da misure che rafforzino la produttività e la qualità del lavoro. Continuare a rimandare significa condannare il Paese a un lento declino: stipendi stagnanti, costi della vita in aumento, consumi in calo, disuguaglianze crescenti. Significa rischiare che, nel giro di dieci anni, una parte sempre più ampia della popolazione non riesca più nemmeno a sostenere le spese essenziali, con conseguenze pesanti per la coesione sociale e la stabilità economica.
Non è soltanto una questione di giustizia per i lavoratori. È una questione di sopravvivenza economica per l’Italia. Se oggi molte famiglie faticano già a far quadrare i conti, in futuro potrebbero trovarsi semplicemente impossibilitate a farlo. Per evitare che il Paese scivoli verso un punto di non ritorno, è necessario che chi governa assuma decisioni coraggiose e tempestive. Lo stesso equilibrio delle casse pubbliche, così come la credibilità delle istituzioni e la stabilità dei redditi — compresi quelli della classe politica — dipendono dalla capacità di affrontare ora un problema che non può più essere rinviato. È il momento di agire, prima che l’Italia si ritrovi di fronte a un collasso annunciato.

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