Share |

Intelligenza Artificiale: un bene o un male?


06/07/2025

di Andrea di Furia

Parliamone. Prendiamo per esempio in mano un coltello: è un bene o un male? Dipende dall’intenzione di chi maneggia lo strumento (il coltello): bene se serve per spalmare la marmellata, male se serve per ferire/uccidere una persona. Siamo tutti d’accordo.

Immaginiamo che sia possibile trasferire al coltello (e in questo caso diventa strumento chi lo maneggia) la decisione di spalmare o quella di ferire/uccidere: questa possibilità è un bene o un male? Qui, nel caso in cui l’essere umano diventa una marionetta dello strumento coltello - che è stato appositamente programmato per sostituirsi a lui come decisore – possiamo essere tutti d’accordo che è un male.

Se al coltello sostituiamo ciò che ci viene presentato come Intelligenza artificiale il caso è lo stesso: se, come essere umano, rimango il decisore e uso lo strumento per quello che mi serve siamo nella situazione di usare il coltello per spalmare la marmellata; se invece lo strumento (IA) diventa decisore e l’essere umano una sua protesi, una sua marionetta, allora siamo nel caso in cui il coltello – tra spalmare o ferire/uccidere - decide lui: ciò è un male, perché per l’essere umano questa riduzione di capacità decisionale è un regredire a stati tribali di coscienza e consapevolezza superati da tempo.

A livello cosciente è difficile per molti ragionare con tranquillità sulle novità tecnologiche, ma a livello inconscio sentiamo tutti che le meraviglie dell’Intelligenza artificiale destano ansia e preoccupazione. Ce lo conferma l’ultima indagine dell’OCSE, More Effective Social Protectionfor Stronger Economic Growth, che analizza le percezioni e le aspettative dei cittadini in 27 paesi sviluppati.

Il focus sull’Italia è indicativo: gli italiani intervistati temendo di essere scartati dall’ingresso nel paradiso delle nuove tecnologie informatiche chiedono (oltre il 70%) investimenti in formazione, sia per i giovani sia per i lavoratori adulti. Vogliono aggiornarsi, “stare al passo”.

E tuttavia, interrogati sul tema specifico, gli italiani intervistati “di pelle” temono l’intelligenza artificiale, l’automazione, la trasformazione digitale del lavoro. Nel lavoro temono di essere sostituiti da un algoritmo, di non riuscire più a orientarsi tra schermi e procedure informatiche, di vedere i propri dati personali mal gestiti.

Se rimaniamo oggettivi: ovunque la tecnologia è strumento neutro (che rimane nella disponibilità decisionale dell’uomo) e va utilizzata per quello che può dare utilmente all’essere umano: ad esempio per recuperare dati su di un argomento o, come nel caso della cosiddetta IA generativa (Chat GPT e altri) per generare testi, immagini, video, musica o altri media in risposta a richieste dell’utente.

Quando però l’utilizzatore se ne serve come ‘suo sostituto’, per fare meno fatica – ad esempio gli studenti agli esami, un politico per riesumare ed appropriarsi di discorsi altrui facendoli apparire propri, il potere pubblico per condizionare i cittadini, ecc. - ecco che siamo nell’ambito del male che, come tale, causa effetti collaterali …maligni.

Prendiamo un uso ‘utile’ dell’intelligenza artificiale da parte degli studenti per i loro progetti scolastici: secondo la nuova ricerca di NoPlagio.it, realizzata da TGM Research, l’Intelligenza Artificiale è ormai una presenza costante nella vita degli studenti italiani tra i 16 e i 18 anni.

Il 97% del campione dichiara di utilizzare strumenti di IA generativa, segnando un netto aumento rispetto all’86% rilevato solo un anno fa: l’uso settimanale di queste tecnologie è passato dal 33% al 51%, mentre l’utilizzo quotidiano è più che raddoppiato, dal 8% al 19%. L’IA viene impiegata soprattutto per la ricerca di informazioni (76%) e per l’apprendimento (42%, in crescita del 9%). Particolarmente significativo il dato relativo ai compiti: il 75% degli studenti la utilizza per temi e progetti scolastici, con un incremento del 10% rispetto al 2024.

Nell’uso utile, il bene o il male dell’IA dipende dall’atteggiamento dell’utilizzatore: se ne è accorta una ricerca canadese utilizzando un test a doppio cieco (ad alcuni studenti si è fatta utilizzare l’IA e ad altri no): le onde Alfa sono attutite, questo comporta una diminuzione della capacità creativa di chi usa l’IA invece di faticare a pensare; le onde Theta pure, questo comporta un calo della capacità mnemonica: chi aveva utilizzati l’IA non riusciva a ricordare cosa aveva scritto IA.

Che l’utilizzo delle tecnologie informatiche porti danno all’utilizzatore di per sé risulta anche dal conferimento di "parola dell'anno" 2024, dalla Oxford University Press, a brain rot.

Il brain rot (o brainrot, lett. "spazzatura cerebrale") è, secondo le parole dell’Oxford English Dixctionary, il deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, soprattutto come conseguenza di un consumo eccessivo di materiale (in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo».

Secondo molti, il brain rot è determinato da vari fattori, tra cui lo scrolling tra video e porterebbe (il condizionale è sempre d’obbligo per evitare azioni legali da parte dei sostenitori di IA) a un peggioramento della facoltà di attenzione,, della capacità di comprensione e delle facoltà mnemoniche. Una meraviglia.

Altra fonte di ansia la procura l’IA in àmbito lavorativo: secondo il World Economici Forum dal 2024 al 2029 l'intelligenza artificiale generativa comporterà la perdita di 14 milioni di posti di lavoro; secondo Goldman Sachs, i progressi dell'intelligenza artificiale raggiunti al 2023 consentirebbero di automatizzare 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno.

Ora, 300 milioni di lavoratori senza più lavoro è sicuramente un problema sociale scottante: tale dato, che è capace di minare la coesione sociale di una qualsiasi comunità democratica, ha la forza di moderare lo sviluppo dell’IA?

No, perché il business che c’è dietro è enorme, con in più le attese tecnologiche dei vari governi per controllare masse che non si accontentano della felicità pubblicizzata dai fautori della ‘crescita continua’ e pretenderebbero una vita dignitosa…. non sono mai state così forte come nell’attuale epoca del ‘capitalismo della sorveglianza’. 

Se ci si domanda perché è così, perché le esigenze degli esseri umani rompono tanto gli zebedei delle élite al potere, allora si deve comprenderne e trovarne la causa nel sistema sociale: nella sua struttura UNIdimensionale parassitaria, in cui oggi domina la dimensione economica: il cui focus viene astutamente deviato dall’essere umano (al cui servizio tutte le istituzioni economico-finanziario-commerciali dovrebbero ‘fraternamente’ essere) e spostato nel portafoglio monopolistico elitario del famigerato e indifferente 1% della popolazione mondiale.

Se tu, in quanto essere umano, e magari illuso dalla presenza di istituzioni cosiddette democratiche, ritieni ‘giusta per te e democraticamente per tutti’ una vita degna di essere vissuta… allora non ti accorgi di essere ‘fuori dal sistema’, soprattutto perché la dimensione politica non domina più le altre due come ancora pochi decenni fa.

Ora la Politica, assieme alla dimensione cenerentola Cultura, è invece al servizio dell’Economia: dimensione sociale per la quale non vale più ciò che è giusto, ma solo ciò che è utile. E se deve definire una cosa molto utile ad essa non pensa affatto all’essere umano, bensì al denaro.

Se a qualcuno quanto sopra sembra antisociale… ebbene, ha perfettamente ragione.

Quando le istituzioni economiche (il Mercato) hanno in modo assoluto il potere di condizionare quelle politiche (lo Stato) e quelle culturali (la Scuola) come mai prima d’ora nell’evoluzione della Società umana, quando la struttura UNIdimensionale del sistema ha acquistato la qualità ‘gassosa’ (ossia è diventata a predominio economico) l’antisocialità galoppa alla velocità massima.

Va anche detto, però, che nessun tipo di sistema a struttura UNIdimensionale parassitaria [gli altri due hanno rispettivamente la qualità ‘liquida ’ a predominio politico, e la qualità ‘solida’ a predominio culturale] può essere sociale: sono tutti e tre antisociali e ‘disumani’.

Prima notavamo la ‘spazzatura cerebrale tossica’ per l’uso delle tecnologie al posto nostro (ovvero della nostra fatica di pensare e agire), e ora possiamo osservarne un fedele rispecchiamento nella struttura UNIdimensionale parassitaria del sistema che produce montagne di ‘spazzatura sociale tossica’ e ne fa tutt’ora l’obsoleta raccolta indifferenziata nell’unico cassonetto istituzionale della dimensione sociale predominante sulle altre due: oggi, il Mercato.

Nel cassonetto unico dell’indifferenziata sociale, nel Mercato, è evidente che l’intreccio dei tre poteri sociali produce sempre tossicità antisociale sotto cui seppellisce l’essere umano: a ben guardare lo osserviamo annaspare e impaludarsi in una discarica tossica di rifiuti economici, politici, culturali annuali, secolari, millenari.

Possiamo uscire da questa antisociale terra dei fuochi? No e Sì.

No se continuiamo a pensare il sociale, come nell’ultimo secolo, in maniera retorica e astratta: è questo modo di pensare – che ignora completamente il tema della struttura (UNIdimensionale o BIdimensionale antisociale / o TRIdimensionale sociale) del sistema - che ci ha portato in discarica, sommersi da montagne di spazzatura sociale tossica: questo pensare ‘tutto chiacchiera e distintivo’ crea solo spazzatura UNIdimensionale parassitaria sociale - pubblicizzandola persino come il miglior sistema possibile - e non è in grado né di smaltirla né di riciclarla utilmente per l’essere umano.

se cambiamo modo di pensare, se la struttura del sistema diventa preoccupazione prioritaria del pensare sociale.

Quando si arriva a comprendere che la struttura del sistema deve essere TRIdimensionale sinergica (invece che UNIdiemensionale parassitaria) - cosa che permette la raccolta differenziata del sociale economico, politico, culturale nei tre cassonetti separati per funzione specifica: il Mercato per i soli rifiuti sociali economici; lo Stato per i soli rifiuti sociali politici; la Scuola per i soli rifiuti sociali culturali – e che solo tale struttura ci permette di affrontare concretamente tutte le emergenze (lavoro, migrazione, guerra o pace ecc.) al massimo delle nostre possibilità… allora il futuro da cupo si fa sereno.

Il vecchio tipo di pensare il sociale porta alle attuali catastrofi umanitarie, porta ad esaurire le nostre risorse in mille rivoli: tanti quante sono le attuali emergenze irrisolte.

Per il diverso nuovo pensare sociale, invece, c’è un solo rivolo prioritario da affrontare con tutte le nostre risorse prima di qualsiasi emergenza, se vogliamo davvero risolverla: va cambiata la struttura del sistema da UNIdimensionale parassitaria a TRIdimensionale sinergica.

Solo in tale struttura TRIdimensionale sinergica le tre dimensioni sociali non confliggono più per il potere, avendo ognuna potere sul proprio campo funzionale specifico, e proprio per questo ora possono supportarsi e moderarsi reciprocamente a vantaggio dell’essere umano: tornano a ‘servirlo’ e cessano di ‘servirsene’.

Buffo come nell’epoca delle specializzazioni scientifiche più spinte… la visione del sociale resta ancora ‘generalista’ e approssimativa.

(riproduzione riservata)