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Coi soldi si fa quel che si vuole: una aspettativa economica malsana

Vademecum per giovani (e non più giovani) risanatori sociali: parte seconda


14/01/2018

di Andrea di Furia

A tantissimi “Se fossi io al potere, ci metterei un niente a sistemare tutto quello che non funziona” l’Uomo del destino appare decisamente come una superstizione dannosa, un retaggio antico inadatto ai tempi attuali. Tra loro, alcuni si posizionano proprio agli antìpodi: si ritengono eminentemente pratici perché, dicono, badano al sodo. E il sodo, per loro, sono i soldi.

Solo da pochi decenni hanno alzato la testa e sono apparsi alla luce del Sole. Questo per l’avverarsi di due condizioni: la prima è il fallimento della democrazia moderna a gestire Scuola e Mercati; la seconda è l’avverarsi a livello planetario della globalizzazione economica, fortemente voluta dalla Finanza internazionale. Al cui servizio, per affinità ideologica o per interesse personale, volentieri si sono dedicati.

Per questi risanatori sociali non è più importante il votare un Partito più o meno democratico, bensì votarsi alla Finanza internazionale. Oltre ai soldi, con cui si può fare quel che si vuole, ormai si ottiene anche, assai prima e con molto meno fatica, qualsiasi carica politica.


Per evitare di riferirci all’Italia - dove abbiamo il Senatore preventivo a vita Mario Monti (divenuto Primo ministro per grazia ricevuta) come testimonial esemplare di questa tendenza risanatrice unilaterale-economica malsana - torniamo all’Algeria intorno alla quale sempre La paralisi algerina, sull’Internazionale del 7/14 dicembre, ci dice che è stato da poco nominato Primo ministro Ahmed Ouyahia.

In realtà non è questa la sua prima e unica volta. No, è già stato primo ministro ben tre volte. La cosa interessante è che negli anni ’90 – in piena guerra civile – introdusse le riforme imposte dal Fondo Monetario Internazionale, guadagnandosi l’affettuoso nomignolo di “Signor lavoro sporco”.

Algeria, dicevamo, che soffre di mali antichi: immobilismo politico, crisi identitaria, rassegnazione a una quotidianità sconfortante, tendenza a chiudersi nella religione.

Eppure, va riconosciuto, non era questo il clima che il denaro aveva portato inizialmente in dote a questo Paese mediterraneo. Dal 2000, infatti, petrolio e idrocarburi hanno reso ricca l’Algeria rappresentando quasi il 95% dei ricavi provenienti dalle esportazioni algerine, pari al 40% del PIL, e circa il 70% delle entrate fiscali.

Vero è che con i ricavi degli idrocarburi il Governo ha potuto comprarsi la pace sociale e la stabilità politica senza troppa fatica: ad esempio ha potuto mantenere buoni rapporti con l’influente Associazione dei Mujahidin – che raccoglie gli ex combattenti della guerra di liberazione dalla Francia – triplicando quasi la somma versata loro.

Ma è anche vero che ha sviluppato un’economia da “bazar” che trascura le potenzialità complessive del Paese: a fronte dello sfruttamento intensivo dei giacimenti troviamo infatti l’Algeria come terzo importatore di grano dell’area, e tuttavia importatore anche di altri prodotti che ha rinunciato a produrre internamente. E il cui commercio, ovviamente, serve ad arricchire quegli uomini vicini al potere che altro non sono che i locali riformatori sociali cui accennavamo prima. I quali uniscono l’utile al dilettevole: portano avanti le loro riforme sociali e incassano personalmente le royalties del successo.

Successo che magari ti contabilizzano con pedante precisione: come ad esempio la nascita di mezzo milione di piccole imprese; l’apertura di 92 nuove Università che hanno assunto migliaia di giovani professori; il lancio di nuovi cantieri; la creazione di un megafondo d’investimento; il rimborso del debito estero; e soprattutto l’aver lenito coi soldi le ferite della guerra civile degli anni ’90. Guerra che aveva allineato quasi 200.000 morti nei locali cimiteri.

Fiore all’occhiello, infine, la grande Moschea in costruzione sulla strada che dall’Aeroporto conduce ad Algeri: capace di accogliere 120.000 fedeli. Ultimata sarà la terza al mondo, dopo Mecca e Medina. Spesa prevista 1 miliardo di euro, che però sono già diventati due in corso d’opera. Un film già visto.

Tante luci e poche ombre, allora? In realtà le ombre, anche in periodi di vacche grasse come nei primi due settenni del terzo millennio in Algeria, ci sono eccome. Ad esempio a 55 anni dall’indipendenza il Governo continua a calmierare i prezzi del latte, dei cereali, dell’acqua, della farina, dell’olio e degli alloggi.

Tuttavia, come prezzo per garantire un minimo di benessere ai cittadini ed evitare che la frustrazione si traduca in rabbia e in rivolte, anche questo può esser visto come un successo. E il calmieramento continuo è ritenuto in linea con gli obiettivi economici di crescita continua dai riformatori "che badano al sodo".


Però bisogna proprio dirlo: questa illusione del liberismo circa la sua verità fattuale è già stata ampiamente sputtanata - perdonate il francesisimo - nella Bibbia. Ma in un’epoca materialista i professori della Scuola di Chicago, da cui il Liberismo quale dogma origina, probabilmente non la conoscevano: così come i loro scimmiottatori attuali.

Rammentate il sogno del Faraone egiziano – le 7 vacche grasse e le sette vacche magre - e la sua interpretazione da parte del prigioniero ebreo Giuseppe? La lezione in economia è che a un periodo di abbondanza (in quel caso durato sette anni) ne succede uno di ristrettezze (per altri 7 anni), per cui bisogna fare le formichine (non liberiste) e non le cicale (liberiste).

La versione moderna di questo sogno al posto del Faraone vedrebbe lo Speculatore di Borsa che ha trasformato le vacche nella “coperta corta” che oggi opprime globalmente tutti noi. Di fatto un qualsiasi strappo effettuato dalla speculazione tira la coperta corta da una parte e scopre quella parte che prima copriva. È questa imprevedibilità della speculazione che rende illusoria e malsana l’attesa risanatrice di questi riformatori. “Coi soldi” oggi… ma sicuramente “senza i soldi” domani.

Così è accaduto [oltre che all'Italia] pure all’Algeria. Infatti, giusto dopo un periodo di vacche grasse durato due volte sette anni ecco giungere all’orizzonte algerino, nel 2014, l’inevitabile periodo di vacche magre. La prima ad affacciarsi è il brusco calo del prezzo del petrolio sicché dai 213,5 mld di $ il PIL scende a 166,8 nel 2015, per poi risalire timidamente nel 2016 (168,3) e nel 2017 (178,4).

Adesso per continuare a comprare la pace sociale coi soldi bisogna attingere alle riserve di regime [perché ognuna delle soluzioni unilaterali malsane crea un regime, morbido o duro che sia]. E in tre anni (comunica la Banca d’Algeria, settembre 2017) da 180 mld di $ le riserve di valuta straniera sono scese del 40%, a 108 mld.

Col riflesso che, su una Popolazione di circa 40 milioni di abitanti, quasi 1 Algerino su 4 soffre la povertà (9 milioni), il 12% della popolazione (4,8 milioni) è disoccupato e 1 giovane su 3 non ha lavoro e, se ci riesce, emigra. Altro "social cult movie" già visto, quasi nelle stesse proporzioni, anche da noi.

Sicché non meraviglia che ci sia una forte tendenza, specie da parte dei giovani che restano, a rifugiarsi nella religione come elemento essenziale della propria identità: tenuto anche conto che la maggior parte del commercio informale (circa 50 mld del PIL) è in mano alle forze religiose salafite.

La seconda vacca magra sembra una vera e propria nèmesi per questa tipologia di riformatori sociali, che disprezzano l'Uomo del destino: ed è la salute precaria del Presidente Abdelaziz Bouteflika, che crea incertezza e lega un poco le mani a tutti.

Un economista locale afferma: “Con il crollo del prezzo del petrolio il Re è quasi nudo. Chi prenderà il posto di Bouteflika dovrà fare i conti con un modello economico sempre più difficile da sostenere, perché le risorse saranno sempre meno e aumenteranno sempre più la disoccupazione e la povertà”.

Coi soldi, ovunque, è vero che oggi si fa quel che si vuole... purché non si pretenda di creare un sistema sociale sano. Coi soldi infatti, così come li si produce e si usano, si può solo creare un sistema antisociale malato: persino disumano. Come vediamo sempre più diffusamente dappertutto nel Mondo.

Ma tutto ciò non preoccupa per nulla questa specifica tipologia di riformatori sociali, particolarmente apprezzato dalla Finanza internazionale. Per due ragioni. La prima è che, se può, la Finanza internazionale gioca sempre d’anticipo. Rammentate Ahmed Ouyahia, l’attuale primo ministro fresco di nomina? In Algeria è il suo fidato testimonial: già in pole position.

La seconda è che questa tipologia di “Se fossi io al potere, ci metterei un niente a sistemare tutto quello che non funziona” non vede [rifiuta di vedere?] la correlazione tra la propria dogmatica idea illusoria di una crescita continua della ricchezza e il concreto inevitabile risultato opposto alle sue aspettative: povertà e disoccupazione in crescita… per tutti gli altri.

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